Ieri è un giorno da ricordare soprattutto per l’immensa ansia che mi ha divorato fino all’ultimo secondo prima dell’ora ics. Mi sono laureata per la seconda volta, stavolta una triennale ma cazzo se è stata dura gente. Ho passato gli ultimi due anni e mezzo a galleggiare di nuovo nel mondo universitario e non mi è piaciuto per niente. Mi sono sentita anzianotta rispetto a tutti quei diciottenni e soprattutto non ho mai capito un cazzo la faccenda dei crediti. Cioè in pratica mi sono laureata ignorando beatamente tutto il sistema universitario riformato MALE dal Pdl. Ho studiato ho dato esami su esami e poi è arrivato il momento di dire a tutti vaffanculo a mai più rivederci.
Le sensazioni sono state molto diverse dalla laurea quadriennale. Qui ha prevalso l’ansia e la stanchezza, lì l’emozione e la tenacia di strappare il massimo alla commissione. La mia tesi era anche carina se si sorvola sulla sua ridicola lunghezza, mi ha appassionato e mi ha coinvolto (molto più della maxi tesi di lettere se devo essere sincera) e mi ha dato modo di conoscere più a fondo la storia di un edificio arcinoto della mia città. Ma cavolo farla in un mese e mezzo è stato massacrante, stupido e di tutto questo devo ringraziare (ironicamente) solo una persona, cioè il mio relatore che mi ha dipinto la tesi della triennale come una minchiata pazzesca e quindi decisamente trascurabile in quanto a impegno. Insomma sono arrivata al giorno della discussione con quella sorta di apatia nevrotica che è indice di stanchezza e di forte stress. Ho buttato giù la mia dose quotidiana di fiori di Bach, ho messo in borsetta la mia conchiglia portafortuna e sono entrata nella fossa dei leoni.
Guardavo intorno a me e vedevo tante persone felici con centinaia di parenti intorno pronti a immortalare la minima cazzata. Prendevo distrattamente dalla mano del fotografo il suo biglietto da visita e sentivo il cuore che ormai mi stava rendendo sorda e prossima al vomito. I miei genitori sono arrivati quasi all’ultimo e in effetti erano la mia unica compagnia. Forse è stato meglio così, chissà ma certo un po’ mi sono sentita sola, con un pubblico di sole due persone dietro di me.
Arrivato il mio turno mi sono seduta e dopo la presentazione della mia relatrice ho iniziato il mio discorso ripetuto centinaia di volte a casa con un evidenziatore in mano. Mi hanno interrotto e poi è stata la volta della domanda del contro relatore ed è andata bene anche lì. Tutti fuori e poi tutti dentro. La dichiariamo dottoressa in beni culturali 110 e lode. Evviva evviva. Strette di mano a destra e a manca e poi ciao ciao.
Ho provato solo un senso di liberazione e certo non è stato gradevole neanche vedere che nell’attestato (che ora ti danno subito) era già stampato il voto. Tanta fatica per niente praticamente. Non ho provato felicità e orgoglio verso me stessa ma solo gioia per aver finito una cosa che non mi ha mai appassionato del tutto, soprattutto perché non mi spalancherà certo le porte del lavoro. E’ solo un titolo in più che in Italia non ha praticamente nessun valore se privo della magistrale, cosa che eviterò accuratamente di fare.
La cosa che mi sono giurata prima di entrare in aula magna è stata: questa è l’ultima volta che provo uno stress del genere. Laurea, master, laurea. STOP.
Sono così stanca che fatico anche a scrivere queste poche righe ma ci tenevo a tener impressa nella memoria e nella pagina scritta le sensazioni quasi a caldo che ho provato. Vorrei dire che è stato bellissimo come la prima volta ma sarebbe una gran bugia. I professori sono i primi a sminuire le nuove lauree e non fanno niente per renderti orgoglioso della tua fatica seppur testimoniata da 50 pagine di tesi piuttosto che 200. Tutto sa di prestabilito e anche l’espressione annoiata e scazzata di parte della commissione è qualcosa di atrocemente e schifosamente italiano. Loro sono pagati per essere lì, prestare attenzione e darti quel minimo di importanza che meriteresti. Io ero già laureata e ne ho sofferto poco, più che altro mi ha fatto incazzare sta cosa, ma penso a tutti quei colleghi che affrontavano la cosa per la prima volta. Poi ho pensato: a loro interessava solo fare bella figura davanti a genitori, zii e nonni e quindi che importa?
Non lo so. Io ricordo tutte facce interessate e un atmosfera elettrizzante. Il momento della proclamazione come il classico giorno di gloria che viviamo una volta nella vita e poi le lacrime che mi scendevano lungo le guance perché allora sì che il voto lo decidevano al momento e non a priori.
Insomma fatto sta che tornata a casa ho buttato tutte le maledette fotocopie, ho cancellato i siti web di tutti i forum universitari che ho consultato negli anni e ho deciso di dedicare i miei prossimi mesi al cazzeggio, fanculo ai concorsi pubblici e fanculo all’università di Cagliari.