Oggi, dieci anni fa, l’America subìva un attacco terroristico senza precedenti. Gli Stati Uniti venivano colpiti al cuore. Il trionfo del capitalismo, il World Trade Center, cadeva sotto i ‘colpi’ di due aerei di linea dirottati. Il Pentagono, il centro della Difesa, veniva parzialmente distrutto da un altro aereo. Migliaia di persone perdevano la vita. Agli occhi del mondo, da poco orfano della guerra fredda, appariva il nuovo incubo del terrorismo.
Sull’11 settembre, sulla dinamica degli attentati, non tutto è stato chiarito. Troppe incongruenze, soprattutto su cosa abbia colpito il Pentagono. Le ricostruzioni fatte dalla commissione di inchiesta americana non appaiono del tutto convincenti. Il ruolo dei terroristi arabi, le loro azioni prima degli attacchi. Tante cose non tornano.
Probabilmente si è cercato di insabbiare le gravi colpe dell’amministrazione americana a livello di prevenzione, controllo e soprattutto di reazione immediata all’attacco. Così facendo si è dato il la ai numerosi complottisti. Se si fosse raccontata la semplice verità, tutta, magari i militari ed i politici statunitensi avrebbero fatto una magra figura ma almeno si sarebbe evitato il solito sciame polemico che tuttora esiste ed anzi, appare sempre piu solido.
Noi oggi però vogliamo occuparci di cosa è l’America oggi, dieci anni dopo gli attentati. E di come sia cambiato il mondo occidentale. Dei legami politici esistenti tra il dopo-11 settembre e la crisi finanziaria scoppiata nel 2008 che sta minando le fondamenta della civiltà occidentale.
Da Il Sole24 apprendiamo i numeri della tragedia:
I numeri, sempre in spietata evoluzione, dicono che 4.466 soldati americani sono morti in Iraq, 1.534 (incluso il personale civile) in Afghanistan. Oltre 44.500 militari sono rimasti feriti, 1.570 hanno subìto amputazioni; il 51% dei reduci ha sofferto di disturbi mentali.
Secondo il dipartimento di Salute e Igiene mentale, furono direttamente esposte agli attentati circa 410mila persone, 71mila delle quali inserite nel World Trade Center Health Registry. Tra questi ultimi, la percentuale di chi ha risentito nel tempo di disturbi psicologici è aumentata negli anni dal 20 al 30%, arrivando al 35% per i bambini rimasti orfani. Oggi starebbero ancora scontando la violenza del trauma in 10mila.
Sempre da Il Sole24 l’analisi del declino americano post-11 settembre:
Per definire l’evo in cui anche l‘impero americano ha iniziato il declino del suo incontrastato potere mondiale, forse la Storia sceglierà l’11 settembre 2001. Gli attentati sono stati un po’ come quello di Sarajevo del 1914: un mondo sarebbe cambiato comunque, ma un singolo episodio ne ha accelerato il mutamento. Come Gavrilo Princip, anche Osama bin Laden in qualche modo ha ottenuto una vittoria. Non ha creato un califfato, i giovani della Primavera araba non lo hanno mai invocato come modello. Ma ha spinto l’America a incagliarsi in Medio Oriente, mostrandone limiti prima sconosciuti. Come dice Aaron Miller, ex negoziatore di pace americano fra israeliani e palestinesi, «una grande potenza è stata coinvolta in una regione che non può cambiare e dalla quale non si può ritirare». Se guardiamo quello che sta accadendo in Medio Oriente, in Afghanistan e in Iraq la vittoria americana non si misura più su come prevalere sui nemici ma su quando e come andarsene. «La migliore strategia d’uscita è la vittoria», dice Henry Kissinger. «Un’altra è la diplomazia. Ma se identifichi l’uscita con il ritiro, rinunci al tuo obiettivo politico»…..
La CII, la Confindustria indiana, il mese scorso spiegava che fra il giugno 2010 e il giugno 2011 gli investimenti internazionali in India sono aumentati del 310%, moltiplicando i posti di lavoro. In America l’occupazione è a crescita zero per la prima volta in 70 anni…..
Secondo lo storico Paul Kennedy sì. «L’America si ridimensionerà, con che misure finanziarie non saprei dirlo, dipenderà dalla battaglia politica ed elettorale dei prossimi 18 mesi. Ma penso che si ritirerà da Afghanistan e Iraq, che non manderà più eserciti smisurati in Medio Oriente e Asia. Manterrà i suoi impegni con la Nato e il Giappone, ma non aprirà nuovi fronti. Non ha alternative». Un quarto di secolo fa Kennedy aveva scritto un libro per spiegare che, come tutti gli imperi, anche quello americano iniziava la sua decadenza. Lo pubblicò mentre Ronald Reagan vinceva la Guerra Fredda e fu preso per matto.
L’economia Usa in crisi:
Quando Osama attacca le Torri gemelle, Washington ha un debito federale valutato attorno al 56% del Pil, oggi è più che raddoppiato. Non si può dimenticare gli effetti fiscali delle due guerre, Afganistan e Iraq. Dati che non possono non far riflettere: il 2010 ha visto un debito Usa pari a 14mila miliardi di dollari mentre il primo anno finanziario di Bush si chiudeva nel settembre 2001 con un surplus del bilancio federale di 128 miliardi. Nei sei anni successivi, 2001-2007, la somma dei deficit ha aggiunto oltre 1.700 miliardi al debito federale. Di questi 800 dovuti a costi relativi alle spese militari e di sicurezza e 1.200 per i tagli fiscali 2001 e 2003.
Dieci anni dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 l’economia globale è in crisi, l’America è alle prese con una recessione causata dalla somma dei debiti contratti dalle due guerre al terrorismo e poi dalla crisi finanziaria, l’Europa vede sotto attacco l’euro introdotto sotto forma di contante il 1°gennaio 2012 e la Cina, come i Brics, teme un atterraggio duro della sua economia troppo dipendente dai consumi occidentali….
La lotta al terrorismo e la crisi finanziaria scoppiata nel 2008 si sono intrecciati l’uno con l’altro in un abbraccio mortale.Quando i due aerei dirottati fecero crollare le Torri Gemelle da cui si vedeva d’un fiato tutta New York, la Federal Reserve di Alan Greenspan rispose con iniezioni di liquidità ai mercati e abbassando i tassi di interesse. Una mossa che alla lunga ha drogato i mercati e messo le basi per la recessione scoppiata il 15 settembre del 2008 con il fallimento di Lehman Brothers.
IL CASO ENRON, CAMPANELLO D’ALLARME
Il 3 dicembre 2001 la Enron fa bancoratta che all’inizio vengono calcolati con debiti da 13,2 miliardi di dollari e oltre 2.500 creditori. Alla fine della vicenda il buco causato dal collasso della Enron, la settima multinazionale Usa all’epoca, è stato uno dei maggiori della storia finanziaria statunitense: il valore di bilancio degli asset interessati nel collasso patrimoniale era di 63,4 miliardi di dollari. Il ciclone naturalmente si abbatte sulla borse di tutto il mondo causando perdite ingenti ai risparmiatori e fondi pensione. Il titolo Enron dall’apice raggiunto ad agosto 2000 a 90 dollari (con capitalizzazione di 65,5 miliardi di dollari), crolla dopo la scoperta delle frodi fino a pochi centesimi. Enron è il campanello d’allarme degli effetti perversi della deregolamentazione selvaggia nel settore energetico e finanziario, ma nessuno lo ascolta.LA INTERNET BUBBLE
Nel marzo 2000 esplode la bolla di internet che viene rapidamente assorbita ma l’attacco alla Torri darà l’opportunità alla Fed di inondare di liquidità i mercati, una mossa che poi avrebbe fatto esplodere la bolla immobiliare, una vero cataclisma sistemico da cui l’America non si è ancora ripresa. Nel 2001, in reazione alla debolezza congiunturale, Alan Greenspan, il maestro come veniva osannato allora da tutti i critici ed economisti, porta i tassi sui Fed funds dal 6,5 al 3,5%. Poi li riduce di altri 50 punti base, al 3% e a ottobre si va al 2,5% fino ad arrivare nel giugno del 2003 all’1%. La Fed mette così le basi per la bolla immobiliareI tassi di interesse bassi e la volontà politica da parte soprattutto dei democratici di dare una casa a tutti con le agenzie pubbliche poi fallite, Fannie Mae e Freddie Mac, anche a chi non avrebbe mai potuto ripagare i mutui, fanno il resto. In realtà i mutui subprime, che si sposano con i derivati e la ripartizione del rischio, vengono infarciti in altri prodotti finanziari, come delle salsicce, spesso etichettati da funzionari compiacenti con rating tripla A
Intanto nel 2008 inizia a mordere la crisi: la Bear Stearns fallisce e finisce in vendita a JPMorgan mentre il 15 settembre 2008 fallisce a sorpresa Lehman Brothers, che getta il mondo finanziario sull’orlo del baratro
Com’è finita, dunque la partita finale tra lo sceicco del terrore e lo zio Sam? Lo sceicco ha perso la partita politica dello scontro di civiltà ipotizzata dal professor Samuel Huntington e della guerra per il Califato mondiale, ma i conti delle guerra hanno svenato il gigante americano e indirettamente (con i tassi vicini alla zero) posto le basi della crisi finanziaria più grande dalla grande recessione del 1929. Il Nobel dell’Economia Joseph Stiglitz ha stimato il costo delle guerra in Iraq a 3 mila miliardi di dollari. La guerra al terrore e la crisi finanziaria ha portato il debito federale lasciato da Bush junior pari all’83% del Pil, Obama lo ha visto crescere al 100%. Il nuovo mondo non c’è ancora ma il vecchio declina. La guerra al terrore è costata la tripla A e la perdita dell’innocenza economica americana.
Un commento di Vittorio Zucconi su Repubblica.it
L’America è una nazione che ha il culto del domani, e che l’11 settembre ha tentato di stravolgere costringendola a guardare all’indietro, a voltarsi verso il passato. È una giornata di sentimenti ambigui, questa in arrivo, dove una nazione costruita sul futuro deve tornare al passato. Senza neppure essere certa che sia passato per sempre. La “guerra
al terrore” che dalla voragine scaturì, continua e continuerà. Il giorno che “ha cambiato tutto” sta cambiando anche se stesso e il rapporto che l’America prima e il mondo poi con essa ha con quell’evento. Per chi non ha perduto qualcuno sotto l’acciaio e il cemento, l’eredità dell’11 settembre sono due guerre, sono un’America che si era illusa di inaugurare un nuovo secolo di dominazione e ora arranca per non perdere posizioni, una crescente diffidenza, se non aperta ostilità, verso le istituzioni e la politica che le incarna.
Riuscirà Manhattan a non trasformare il memoriale, il parco con la piscina del vuoto, la Freedom Tower che sta alzandosi di un piano alla settimana verso il completamento nel 2013, a scampare all’inferno del “gift shop”, del souvenir, e del baracchino di felafel e hotdog con i krauti?
La domanda che inquieta questo decimo anniversario che potrebbe essere l’ultimo con tanta solennità ufficiale è sapere dove quell’evento abbia portato la nazione. È un’America più luminosa, più convinta del proprio “soft power”, della capacità di attrazione morale, culturale e civile, quella che ha saputo sopravvivere all’11 settembre, o è un’America prigioniera del proprio “hard power”, della forza dura delle proprie armi, il solo terreno nel quale la sua superiorità resti indiscussa? Forse la polvere della noia nasconde una paura più profonda e ancora più tossica, quella di avere perduto la guerra della supremazia morale, nella palude della guerra continua e interminabile. Dopo l’11 settembre, è divenuto molto più “fatiguing”, molto più faticoso, essere tutti americani.
Ground Zero ora, dieci anni dopo. Due fontane, posizionate dove erano le Torri, ricordano i morti
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