127 Ore - L'inno alla vita di Aaron Ralston

Creato il 12 febbraio 2011 da Alexdiro
Se l'angoscia e la tensione percepite durante la visione de Il Cigno Nero sono una questione prettamente di testa, il palpabile senso di panico e l'intensità che si avvertono guardando 127 Ore sono questioni anche e sopratutto di pancia. Si, perchè l'ultimo film di Danny Boyle è uno di quelli che ti torce lo stomaco, che un attimo prima ti lascia la fronte madida di sudore e lo sguardo attonito e un attimo dopo ti commuove. La storia raccontata è quella (vera) di Aaron Ralston, alpinista statunitense appassionato di escursioni e di natura che durante una scalata nei canyon dello Utah resta intrappolato per cinque giorni (le 127 ore del titolo) in una gola con la mano sotto un enorme masso, fino a quando per non morire disidratato decide di amputarsi il braccio offeso con un coltellino svizzero spuntato.
127 Ore è anche un'ottima riflessione sull'importanza della vita e sui rapporti che intrecciamo nel corso della nostra esistenza: Aaron ama la natura, è un personaggio schivo, solitario, un ragazzo evidentemente irrequieto, laureatosi in ingegneria probabilmente per compiacere i genitori, che rifugge i contatti con le persone che lo circondano e non lascia mai detto a nessuno dove andrà alla ricerca di una pace interiore probabilmente privatagli dalla quotidiana routine; la lunga solitudine impostagli dal masso lo costringe a riconsiderare le sue priorità e a pentirsi di comportamenti passati che l'hanno portato ad essere essenzialmente solo; da convinto lupo solitario, Aaron arriva a rattristarsi persino del mancato "appuntamento" di un corvo che puntualmente di prima mattina vola sopra la sua testa. E' impressionante la forza d'animo di questo ragazzo che si rivela nel climax del film; la scena dell'amputazione è la più intensa non solo perchè disturbante nella sua crudezza, ma anche e sopratutto perchè è un assordante inno alla volontà di sopravvivere, di vivere, come lo è anche tutta la sequenza finale immediatamente successiva.
Lo sguardo di Boyle, anche quando sfrutta le allucinazioni di Aaron per raccontarci flashback o sogni di quest'ultimo, non è mai banale: nei primi minuti regia e fotografia sono estremamente patinati, uno stile ultra-pop molto vicino a quello della sua precedente opera, The Millionaire; poi dopo la caduta del masso il ritmo rallenta, i toni si fanno più drammatici, l'atmosfera si fa più claustrofobica, una sensazione di panico crescente serpeggia fra i fotogrammi della pellicola e la palla passa nelle mani di uno straordinario James Franco capace di reggere praticamente da solo tre quarti di film e molto efficace nel rappresentare l'evoluzione psicologica (e il degrado fisico) del protagonista nel corso della storia.
127 Ore è un'opera intensa e anticonvenzionale che conferma il coraggio, l'eclettismo e le doti registiche di Danny Boyle.

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