La regione che oggi chiamiamo “Asia Centrale” è caratterizzata da una orografia alquanto piatta e uniforme, la quale ha favorito nei secoli i movimenti e il frammischiamento dei popoli nomadi che l’hanno percorsa e abitata. Ciò si è tradotto in uniformità culturale e in società distinte più dalla lealtà a un capo che dall’etnia, e perciò mutevoli. Lo dimostra il fatto che fino a qualche secolo fa nemmeno esisteva l’attuale distinzione in nazionalità centroasiatiche: i Kazaki si separano dagli Uzbeki solo nel XV secolo, e ancora nei primi anni sovietici i Kazaki era comunemente definiti “Kirghisi“. L’assoggettamento all’Impero moscovita, col giungere di milioni di coloni russi nell’area, e la politica staliniana di deportazione delle comunità nazionali giudicate di dubbia fedeltà nella steppa (nel frattempo “svuotata” da politiche di sterminio: i Kazachi diminuirono del 40% tra 1926 e 1937), non fecero altro che complicare il quadro.
Fatto sta che, al crollo dell’URSS e conseguimento dell’indipendenza, in Kazakhstan i Kazaki non erano nemmeno il 50% della popolazione, con una componente poco inferiore di Slavi e poi altre varie etnie minoritarie, incluso un 7% di tedeschi. La fine dell’unità sovietica e il rifiuto kazako di concedere la doppia cittadinanza agli abitanti russi spinse molti slavi a emigrare, tanto che oggi nel paese i Kazaki risultano essere il 65% della popolazione, i Russi il 22%, gli Uzbeki il 3%, e via via con percentuali sempre inferiori si trovano le altre 129 (centoventinove) etnie di una popolazione di 16 milioni di abitanti. Un quadro semplificatosi, ma nient’affatto semplice.
La scelta dello Stato indipendente kazako, incarnato dal presidente Nursultan Nazarbaev che dall’inizio lo governa con piglio autoritario e paternalistico, è stata quella di valorizzare sì la componente indigena, ma senza adottare politiche nazionaliste che avrebbero potuto minare la convivenza interna. Da qui anche la scelta di riconoscere una cittadinanza “kazakistana”, di cui l’etnia kazaka è solo la componente maggioritaria, e promuovere il trilinguismo: kazako come idioma nazionale, russo come lingua “alla pari”, inglese per le comunicazioni col più vasto mondo. Questa saggia politica non nazionalista ha permesso al Kazakhstan di mantenersi, contrariamente a tutte le previsioni, stabile e pacifico, a dispetto degli scontri inter-etnici che hanno caratterizzato, e spesso ancora caratterizzano, un gran numero di regioni post-sovietiche (si possono citare, a mo’ di esempio e in ordine sparso, gli Stati baltici, l’Ucraina, il Caucaso russo, la Georgia, il Nagorno-Karabakh, la Valle di Fergana…).
Alla pluralità etnica in Kazakhstan ha corrisposto anche la pluralità religiosa, con oltre 40 confessioni rappresentate nel paese. Le principali sono oggi Islam (70%) e Cristianesimo (27%). Il nuovo regime indipendente ha optato perciò per la continuazione della politica laica d’epoca sovietica, ma non più in chiave ateista-militante. Al contrario, le moschee, in gran parte chiuse o distrutte da Stalin, hanno ripreso a diffondersi nel paese. L’Islam kazako è tradizionalmente d’ascendenza sufi, moderato e tollerante, e lo Stato ha dunque cercato di sfruttarlo per rinsaldare la coesione del paese senza minacciare le altre religioni. Un problema è stato però il diffondersi di correnti wahhabite, promosse dall’esterno, di tenore purista, con un programma più “interventista” negli affari politici e una minore tolleranza verso i non musulmani.
Al verificarsi d’alcuni atti di violenza e terrorismo, le autorità kazake hanno risposto con una rigida regolamentazione dell’attività religiosa. La logica di fondo delle nuove norme è quella di tutelare le confessioni tradizionali del paese bloccando il diffondersi di nuove. Oltre ai wahhabiti e ad altre versioni puriste dell’Islam, ne sono cadute vittime anche alcune sette occidentali come testimoni di Geova e Scientology. Tale legislazione ha dunque incontrato molte critiche tra i seguaci di questi culti e le ONG dirittoumaniste.
Per quanto draconiane, bisogna però riconoscere che tali norme rispondono a un’esigenza molto sentita in un’epoca in cui correnti estremiste dell’Islam stanno generando disordini in parecchi paesi; e tanto più sentita in uno che, avendo un’ingente minoranza cristiana, incontrerebbe grosse difficoltà qualora volesse caratterizzarsi come Stato islamico.