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Creato il 13 gennaio 2014 da Malvino

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Temo di essere stato troppo sbrigativo nella risposta a chi mi ha chiesto di esprimere la mia opinione sulla sperimentazione animale in campo medico, ma nel dichiarami a favore, nell'aggiungere di esserlo senza riserve e nell'affermare che ritengo assurde le ragioni di chi è contrario, pensavo fosse implicito il rimando agli argomenti che la dimostrano necessaria, e che anche stavolta, col riaccendersi del dibattito sulla questione, autorevoli voci del mondo scientifico sono state costrette a riproporre, e con una pazienza che ritengo eroica, a fronte di esaltate frange di fanatici, convinti assertori di un'assoluta parità di diritti tra uomo e topo. Temo di essere stato troppo sbrigativo, perché scrivendo su queste pagine che, "fosse in mio potere, costringerei costoro alla coerenza, negando loro la somministrazione di ogni molecola che abbia richiesto il sacrificio anche di un solo animale per i test necessari al suo impiego clinico", ho offerto il fianco all'obiezione - cito testualmente - che "l'incoerenza non inficia per nulla la verità di quello che viene detto ma solamente mina l'autorità di colui che lo dice" [Carlo]. In pratica, mi sono beccato l'accusa di ricorso ad una fallacia argomentativa, e devo confessare che questa mi ha irritato assai più delle ingiurie e delle minacce piovutemi addosso, e che d'altronde mi sono limitato a cestinare, perché negli anni sono giunto a conclusione che dare ad esse una qualsiasi forma di visibilità è un modo, ancorché subdolo, di esercitare la più perversa forma di vanità del blogger, che è quella di posare a vittima.

Non ho risposto all'accusa, al mio posto l'hanno fatto altri lettori, chi in modo assai spiritoso, e tuttavia - ritengo - non risolutorio ( "Quando vedrò un animalista farsi operare da un chirurgo alle prime armi che non ha aperto manco un ratto, ma s'è esercitato con Surgeon Simulator 2013 su xbox, allora potrò affrontare l'argomento con lui" [Stefano]), chi col fare presente che in questioni di natura etica (e l'animalismo e l'antispecismo rivendicano di muoversi in questo ambito) i principi sostenuti vanno "verificati sul campo e non trattati in astratto" ( "Nel momento in cui ci si cura con le stesse cure di tutti gli altri - ci si dimostra cioè disponibili a mettere la vita animale su un piano diverso da quella umana - si tende giocoforza a divellere il preteso fondamento etico e morale che si è appena sostenuto [...] quindi l'incoerenza inficia certamente la verità di quello che viene detto, perché essa è a tutti gli effetti un piccolo pezzo di dimostrazione della falsità del principio etico sostenuto" [Paolo]). Ottimo collegio difensivo, devo dire, ma in campo etico davvero la coerenza è un argomento? Come vedete, ho ribaltato la questione posta implicitamente dal mio post e - ahimè - devo dare una risposta negativa: no, perché si può affermare moralmente disdicevole masturbarsi ( Catechismo della Chiesa Cattolica, 2352), farlo, pentirsi di averlo fatto, rifarlo, ripentirsi, e tuttavia continuare ad affermare che è offesa al sesto comandamento, dunque peccato mortale. Intendo dire, se l'ellissi aveva curva troppo larga, che in campo etico un assunto si fa principio senza avere alcun bisogno di "verifica sul campo": si dà "in astratto" e chiede, quasi sempre con forza, di farsi concreto, ma, se non ci riesce, non rinuncia certo a venir meno.

Si obietterà che questo vale per l'etica che si dà come superiore e antecedente all'uomo, eterna e immutabile, e dunque come espressione di un disegno trascendente, ma che esiste, o almeno è possibile, un'etica che sale dal basso, come tentativo di risposta al bisogno di una logica che informi la norma, un'etica, cioè, che ha come fine un utile sovraindividuale senza aver bisogno di figurarselo a immagine e somiglianza di un dio. Sono d'accordo, anzi, ritengo che questa sia l'unica etica tollerabile, perché fa i conti col divenire umano, avendo come solo fine la convivenza di individui liberi e responsabili, perciò rispondendo al più genuino significato di ciò che è ethos, luogo in cui si vive, spazio destinato alla vita.

Ora, a me pare evidente che chi è contrario alla sperimentazione animale in campo medico lo sia perché ritiene che a topi, conigli, maiali, ecc. debba essere garantita una tutela giuridica pari a quella di cui godono gli esseri umani, in risposta ad un'istanza etica che sarebbe comune a tutti i viventi, anzi, per meglio dire a quelli che appartengono al mondo animale, visto che la loro conseguente scelta vegetariana (qui evitiamo di prendere in considerazione chi è contrario alla sperimentazione sugli animali, ma se ne nutre), non risparmia altri organismi viventi come rape, carote, zucchine, ecc. In altri termini, ad informare la norma dovrebbe essere una logica ( etica) che sia valida per uno spazio destinato alla vita ( ethos) in cui dovrebbero considerarsi inscritti, e con parità di certi diritti, uomini, topi, conigli, maiali, ecc. (e dico "certi diritti" perché nessun animalista o antispecista si spinge a chiedere per essi, ad esempio, il diritto di voto). [Non credo di essere andato troppo oltre nell'interpretazione della filosofia che sta in premessa alle loro richieste, perché ho attinto dalle loro bibbie (Peter Singer, Animal Liberation, 1975; Tom Regan, The Case of Animal Right, 1983).]

Bene, a questo punto vorrei mi si consentisse una domanda: questa logica - questa etica - è del tipo che sale dal basso o del tipo che scende dall'alto? Per meglio dire: è un'etica che è da considerare superiore e antecedente al mondo animale, eventualmente ad esso intrinseca, da sempre disattesa fino alla scoperta che la vita del topo è in qualche modo sacra quanto quella umana, oppure è un'etica che si fa carico di mutate condizioni nell'ambito degli equilibri che reggono il regno animale? Potrei porre la domanda anche in un altro modo, forse un po' più brutale: i diritti degli animali per cui si spendono animalisti e antispecisti sono nati con gli animali o sono acquisiti? Nel primo caso, mi pare evidente che a rispettarli fin da subito, da quando l'uomo è comparso su questo pianeta, non saremmo qui a discuterne: è ampiamente dimostrato, infatti, che senza lo sfruttamento di alcune specie animali, in primo luogo per esigenze alimentari, ma non solo, e in ogni caso con patente lesione dei diritti che oggi dovremmo riconoscere ad esse, non avremmo fatto fronte ad una innumerevole serie di problemi. Nel secondo caso, invece, c'è da chiedersi se tali problemi siano risolti per sempre, al punto da poter rinunciare allo sfruttamento di tutte le specie animali, facendo coincidere la norma antispecista alle mutate condizioni di quella che fino a ieri, in modo arbitrario, abbiamo chiamato specie umana. [Un esempio: è possibile un corretto sviluppo nel bambino senza apporto di proteine animali?] Mi pare del tutto pacifico, infatti, che un'etica che scende dall'alto non abbia alcun bisogno di fare i conti con le esigenze che si muovono dal basso, semmai è il contrario, mentre un'etica che sale dal basso può ritenersi fondata solo se l'utile sovraindividuale può ragionevolmente includere tutti gli individui per i quali dichiara parità di certi diritti.

Mi si dirà: stai per caso tentando di dare per scontato che l'etica debba necessariamente avere un fondamento di tipo utilitaristico? È la domanda che via email mi ha posto un antispecista dai modi non tanto aggressivi da essere subito mandato a cagare, e a lui ho risposto che, sì, ce l'ha anche quando lo nega o lo afferma in vista del guadagno della vita eterna. [Peraltro c ' è da rilevare che un ' etica diversa, di quelle che scendono dall ' alto, com ' è quella che dichiara moralmente disdicevole masturbarsi, consente lo sfruttamento e l ' uccisione di animali, ma vieta che vengano maltrattati perché il maltrattamento configurerebbe un ' offesa non già alla dignità del maltrattato, ma a quella del maltrattante .] A questo mio assentire, mi sono visto muovere come obiezione che un animalista ante litteram è stato proprio il padre dell'utilitarismo, e cioè Jeremy Bentham, il quale invitava a "non porsi la domanda se [gli animali] sanno ragionare, né se sanno parlare, bensì se possono soffrire". Lì non ho potuto far altro che invitarlo a non limitarsi a leggere le sette o otto righe che i fanatici come lui sono soliti citare da Principles of Morals and Legislation, ma di andare a fare la scoperta che, due capoversi prima, Jeremy Bentham dichiara pienamente legittimi lo sfruttamento e l'uccisione di animali, ma evitando loro sofferenze. E l'ho mandato a cagare.

E dunque direi che qui potrei tirare i fili. Anche a voler recepire le istanze di un utilitarismo non insensibile alla dignità del vivente non umano, con ciò rientrando nell'ambito di quell'etica che non ha alcuna difficoltà a dichiararsi norma che viene dal basso, per rispondere ad esigenze poste dalla ricerca di un utile che varia al variare delle condizioni, l'impiego di animali da parte dell'uomo è pienamente legittimo, fatta salva la clausola del rispetto che impone il risparmiare ad essi sofferenze, peraltro inutili.

La questione, a questo punto, mi pare notevolmente semplificata, e può essere esposta riducendola alla sua mera sostanza: è utile il sacrificio di alcuni animali? Sì. Senza alcun dubbio? Senza alcun dubbio. E su quest'ultimo punto, per non dilungarmi oltre, rimando a ciò che Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini scrivevano sul domenicale de Il Sole-24 Ore di ieri. Qui riporto solo quattro dei dieci punti che i due ricercatori hanno tenuto a precisare, ma sono quelli che ritengo abbiano maggiore rilevanza.

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Almeno per quanto attiene agli aspetti presi a oggetto in questo post, posso fare a meno di richiamare g li altri sei punti ( "non è vero che la sperimentazione animale si fa normalmente anche su gatti, cani e primati", "non è vero che gli scienziati sono indifferenti alle sofferenze degli animali", "non è scientificamente fondato sostenere che gli animali hanno un livello di coscienza equivalente a quello umano", "è offensivo sostenere verso le persone umane malate che gli animali hanno i loro stessi diritti", ecc.), penso addirittura siano di mero corredo psicologico. E con questo penso di avere abbondantemente espiato la leggerezza di una presa di posizione senza esplicita argomentazione.


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