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«La lettera va presa alla lettera»Jacques Lacan
Devo una risposta a Matteo Mainardi, che mi rimprovera di aver riproposto su queste pagine l’intervista nella quale Gianfranco Spadaccia spiegava le ragioni del no radicale all’amnistia del 1981: dice che il contesto era diverso da quello odierno, che a quei tempi le patrie galere non erano sovraffollate come adesso, che allora l’amnistia era la «presa per il culo» che il «sistema» usava «per non riformare se stesso». Si tratta di un’obiezione che avrebbe un peso, se in quell’intervista Gianfranco Spadaccia non motivasse il no radicale a quell’amnistia sulla base di una questione di principio, anzi, di almeno tre principi, che definisce «temi caratteristici dell’opposizione radicale». In pratica, il richiamo al fatto che la situazione carceraria del 1981 fosse diversa da quella del 2013 è strumentale e surrettizio.In tal senso, torna utile analizzare gli argomenti di Gianfranco Spadaccia. In primo luogo, afferma che il problema c’è, ma che i radicali non se ne ritengono corresponsabili, dunque non si sentono chiamati a risolverlo, tanto meno ricorrendo alla soluzione prospettata da chi l’ha causato. Non mette affatto in discussione lo «stato di necessità», dunque, e tuttavia rigetta la proposta dell’amnistia come soluzione. In secondo luogo, afferma che i radicali la rigettano, perché non è soluzione strutturale, ed è un rimedio dall’effetto di breve durata. Infine, elenca i punti di una riforma del sistema penitenziario, e più in generale del compartimento della giustizia, che dice alternativa al provvedimento di clemenza.Suppongo sia superfluo rimarcare le differenze con l’odierna posizione dei radicali sulla questione, di qui la ragione del mio post, che era una risposta all’accusa di incoerenza che i radicali rivolgono in questi giorni a Beppe Grillo: alcuni anni fa si esprimeva in favore dell’amnistia e oggi è decisamente contrario. Ricorrendo alla stessa obiezione offerta da Matteo Mainardi per dare spiegazione dell’evidente torsione subita dai «temi caratteristici dell’opposizione radicale», anche Beppe Grillo potrebbe appellarsi alle mutate condizioni. Ovviamente si tratterebbe di una lettura diametralmente opposta a quella odierna dei radicali, e ispirata dai temi caratteristici dell’opposizione grillina, che non si fa alcuna fatica a riconoscere come diametralmente opposti a quelli odierni dei radicali, che hanno subito anch’essiun’evidente torsione rispetto al passato.Per inciso, inoltre, è da considerare che Detenuto in attesa di giudizio è del 1971 e offre uno spaccato del mondo carcerario italiano che non è meno infame di quello odierno. Cosa cambia, dunque? Per Matteo Mainardi, il fatto che«oggi siamo alla condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo». Sta insinuando che Gianfranco Spadaccia dovesse aspettare la condanna della Corte Europea per farsi un’idea sui diritti dell’uomo?Il fatto è che, se una questione di principio può farsi elastica a seconda del contesto, l’elasticità deve essere concessa sia alla vacca sia al mulo. Poi, sì, possiamo entrare nel merito e, a piacere, esprimere la nostra preferenza per la vacca o per il mulo, ma questo non toglie che a entrambi puzzi il culo. Levando l’eccesso di colore alla metaforetta, in entrambi i casi il principio si è adattato al contesto, secondo quanto è parso conveniente: a Beppe Grillo oggi conviene fare il forcaiolo anche a discapito della sensibilità mostrata in passato riguardo alla condizione dei detenuti nelle carceri italiane; in quanto a Marco Pannella,sull’amnistia si gioca il tutto per tutto, non avendo più nulla da perdere, e questo a discapito di quella che in passato era la soluzione strutturale al problema. Ma a Matteo Mainardi devo anche alcune delucidazioni che in futuro potranno essergli utili ad evitare increspature al suo bel garbo.Primo: la mia non è stata una «sparata». Consigliavo solo di «dare una guardatina in soffitta» prima di dare per scontato che i «temi caratteristici dell’opposizione radicale» siano gli stessi da sempre: uno solo, in realtà, è da sempre uguale a se stesso, immutabile e costante, ed è l’opportunismo, spina dorsale di quella «durata» che esalta i gregari e i famigli di Marco Pannella come il semplice fatto che la Chiesa stia lì da due millennidà ai cattolici dà la certezza che Dio esista veramente.Secondo: il presunto mio «antiradicalismo». Su questo punto, con infinita dolcezza, vorrei far presente a Matteo Mainardi che io non sono affatto «antiradicale», anzi, mi ritengo assai più radicale di lui. La ragione è semplicissima: lui sta ancora dietro ad uno che ha corrotto il pensiero radicale ad una pratica di ipocrisia, cinismo e opportunismo, io non più.
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