Ed effettivamente, a ben pensarci, Richard Gansey III ha effettivamente un suo perché.
Il nobile rampollo della schifosamente ricca e socialmente ben piazzata famiglia Gansey è, a prima vista, un modello Abercrombie con un portafoglio che non conoscerà mai la triste desolazione del non contenere abbastanza monetine per comprare un caffè: alto, di bell’aspetto, capelli castano e occhi color nocciola, è solito aggirarsi per il mondo con addosso o l’esclusiva uniforme della Aglionby o con polo dai colori improponibili e scarpe da barca ai piedi, in compagnia di una Camaro dal colore improbabile (arancione) affettuosamente soprannominata “il catorcio”. Al suo fianco, gli immancabili Ronan Lynch, Adam Parrish e Noah Czerny – accessori di tutti rispetto, nonché amici e compagni nella cerca di Glendower, il re dormiente che insegue con una passione tale da oscurare tutto quanto possa esserci di fastidioso in lui. Tipo il conto in banca dall’imbarazzante numero di zeri combinato ad una bellezza stratosferica. O il carisma indiscusso che lo rende un faro attorno a cui gravitare, una persona per la quale si è disposti a sacrificare ogni cosa solo per il privilegio della sua approvazione. Quello che veramente di lui colpisce, però, è la totale dedizione con cui insegue, lungo la linea di prateria che scivola accanto ad Henrietta, il suo sogno. Il tempo che ci impiega, il sangue che sacrifica, l’assoluta abnegazione con cui raccoglie e riordina indizi in un puzzle ben lontano dall’essere completato e che ha come origine un episodio accaduto durante la sua infanzia, quando – giocando a nascondino – si avventurò nella foresta dietro casa e mise un piede in fallo sopra un nido di calabroni. Allergico alle punture al punto che una soltanto sarebbe stata sufficiente ad ucciderlo, il piccolo Gansey si ritrova avvolto dagli insetti ma ha in dono una seconda occasione di vita da una voce che reputa appartenere a Glendower stesso. E nello stesso momento, sulla stessa linea, Noah Czerny muore, ingiustamente. Non mi è facile riuscire a capire questo ragazzo che, pur cercando di dosare le parole con attenzione, ferisce gli altri involontariamente e riesce a farsi amare in una maniera troppo genuina per poter essere semplice convenienza. Tuttavia neppure io posso nascondere di essere vittima – marginale, ci sono Raven boys molto molto molto più interessanti! – del suo fascino assassino. Un po’ bambinone, un po’ esploratore, a volte infantile e a volte straordinariamente saggio: Richard Gansey III, signore mie, il rampollo che tutte voi vorreste presentare a mamma e papà. Per poi scappare via, a godervelo tutto sui sedili di pelle del Catorcio.
L’albero li trascinò in una visione.
In questa visione, la notte spargeva riflessi luccicanti sull’asfalto bagnato e fumante, mentre il semaforo da verde diventava rosso. La Camaro era ferma su un marciapiede, e Blue sedeva alla guida. C’era un forte odore di benzina. Blue vide di sfuggita una camicia sul sedile del passeggero: era Gansey. Lui si protese sopra il cambio per premerle le dita sulla clavicola scoperta. Il suo respiro era caldo sul collo di lei.
Gansey, lo ammonì lei, ma si sentiva fragile e pericolosa.
Voglio solo fare finta, disse Gansey, soffiandole le parole sulla pelle. Voglio fare finta di poterlo fare.
La Blue nella visione chiuse gli occhi.
Forse non farà male se sarò io a baciarti, disse lui. Forse è solo se tu baci me…
Richard caro, niente paura: noi possiamo essere baciate tutte le volte che vuoi e l’unica preoccupazione che potremmo darti riguardo lo stato delle tue preziose polo nel momento in cui ti saranno strappate di dosso. Ok? Ok.