Bella e letale: alfa-emolisina! Le infinite complessità della chimica...
Tredici per la matematica è un numero primo fortunato e felice, mentre per la chimica è solo il numero atomico dell’alluminio (Al). Questo mese però, è anche il primo anniversario del Carnevale della Chimica, un appuntamento oramai consolidato tra i blogger con affinità elettive verso questa meravigliosa materia, che arriva quindi alla sua tredicesima, felice e fortunata, edizione che avrà luogo domani, 23 gennaio, sul blog scientifico partecipativo Gravità Zero, al quale partecipa anche il chimico impertinente. Come celebrarlo al meglio se non illustrando le tredici principali scoperte nel campo della chimica che sono riuscite a sradicare i falsi paradigmi del passato o si sono rivelate responsabili dei grandi progressi nell’evoluzione scientifica del genere umano?
Ecco quindi in una rassegna molto sintetica in verità, anche se ricca di numerosi collegamenti, per approfondire quali scoperte rappresentano la chimica e senza le quali il mondo come noi lo conosciamo non esisterebbe affatto.
Ossigeno (anni ’70 del XVIII secolo)
Incolore da gas, azzurro da liquido: ecco l'ossigeno!
Il chimico e filosofo britannico Joseph Priestley (1733 – 1804) scoprì l’ossigeno quasi contemporaneamente al chimico svedese Carl Wilhelm Scheele (1742 – 1786), scaldando ossido di mercurio in provetta, riuscendo a comprendere che si trattava di un gas fondamentale per la combustione e per la respirazione. Tuttavia a quei tempi imperava la teoria del flogisto, e per i luminari dell’epoca era molto difficile abbandonare la credenza radicata che prevedeva il principio di infiammabilità (altrimenti detto flogisto) come elemento essenziale di ogni composto che bruciava. Sarebbe stato poi il chimico francese Antoine Lavoisier (1743-1794), a battezzare il gas con il nome che conosciamo, riuscendo a spiegarne la natura, le principali proprietà e descrivendo con precisione il suo ruolo nella combustione. Lavoisier è stato quindi uno dei primi debunker della storia, demistificando efficacemente la teoria del flogisto grazie alla legge della conservazione della massa.
Teoria atomica (1800÷1809)
John Dalton (1766 – 1844), chimico e fisico inglese, propose la sua teoria atomica basandosi sulle tre leggi fondamentali della chimica, di cui una da lui stesso postulata. Così Dalton fornisce un modo per collegare gli atomi invisibili alle quantità misurabili oggettivamente, come il volume di un gas o la massa di un minerale. La sua teoria atomica può essere riassunta con cinque punti fondamentali:
- La materia è formata da atomi piccolissimi, indivisibili e indistruttibili.
- Tutti gli atomi di uno stesso elemento sono identici e hanno uguale massa.
- Gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di altri elementi.
- Gli atomi di un elemento si combinano, per formare un composto, solamente con numeri interi di atomi di altri elementi.
- Gli atomi non possono essere né creati né distrutti, ma si trasferiscono interi da un composto ad un altro.
Naturalmente oggi sappiamo che la teoria di Dalton conteneva diversi errori, e per questo è stata perfezionata nel tempo, tuttavia l’importanza che essa ha rappresentato per il progresso della chimica è percepibile anche quotidianamente.
Dagli atomi alle molecole (dal 1810)
Correvano i tempi in cui atomo e molecola erano due termini intercambiabili, benché io sia convinto che ancora oggi qualcuno cade ancora in questo equivoco, quando fortunatamente Amedeo Avogadro (1776-1856) intuì che erano invece due specie distinte: gli atomi si combinano per formare molecole! Egli formulò l’ipotesi che si consolidò nella legge omonima:
Volumi uguali di gas, alla stessa temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole
In onore dei contributi di Avogadro alla teoria delle moli e dei pesi molecolari, il numero di molecole in una mole è stato ribattezzato Numero di Avogadro e vale, come molti studenti forse sapranno, 6,022 x 1023 mol-1.
Sintesi dell’urea (1828)
Struttura chimica (dal 1850)
La tavola periodica degli elementi (dal 1860)
Trasformazioni chimiche: l’elettrolisi (dal 1800)
La cella elettrolitica di Davy. Credit: © Science Museum
Dopo aver scoperto che il passaggio di corrente elettrica altera la composizione chimica di alcune sostanze, Humphry Davy (1778 – 1829) esplorò le pratiche dell’elettrolisi come mezzo per separare i componenti di molte sostanze chimiche. Con un certo numero di pile collegate in serie Davy fu in grado di separare gli elementi di potassio e sodio nel 1807 e calcio, stronzio, bario e magnesio nel 1808. Studiò anche le energie coinvolte nella separazione di questi sali, diventando uno dei padri dell’elettrochimica moderna.
L’elettrone (1897)
Il modello atomico a panettone di JJ Thomson
Attraverso una serie di esperimenti con i tubi catodici, Joseph John Thomson (1856-1940) scoprì che questi dispositivi emettevano particelle a carica negativa. Egli chiamò queste particelle “corpuscoli”, ma ora sono universalmente conosciuti come elettroni e propose un modello di struttura atomica anche detto modello a panettone (in inglese, plum pudding model), nella convinzione che gli atomi consistevano di un’abbondanza di questi corpuscoli brulicanti in un oceano di particelle cariche positive. Seppur interessante, questo modello si rivelò errato grazie a Ernest Rutherford (1871 – 1937), il quale interpretò l’esperimento di Geiger e Marsden del 1909 proponendo un proprio modello atomico alternativo nel quale la carica positiva era concentrata in un nucleo centrale. Oggi noi definiamo l’elettrone come una particella subatomica con carica elettrica negativa che, non essendo composta da altre particelle conosciute, si ritiene essere una particella elementare. Esso appartiene alla prima generazione della famiglia dei leptoni, è soggetto a interazione gravitazionale, elettromagnetica e nucleare debole.
Legami elettronici (dal 1913)
Sulla scia di Rutherford e le sue teorie, il fisico danese Niels Bohr (1885-1962) pubblicò il suo modello di struttura atomica, postulando che gli elettroni si muovono in specifiche orbite intorno al nucleo e che le proprietà chimiche di un elemento dipendono in gran parte dal numero di elettroni nell’orbita più esterna. Queste scoperte aprirono la strada a una maggiore comprensione delle interazioni fisiche tra atomi e molecole, e dei fenomeni che stanno alla base del legame chimico. Anche il modello di Bohr, tuttavia è oramai superato.
Gli atomi si firmano con la luce (dal 1850)
La firma in emissione e assorbimento dell'idrogeno
Il fisico Gustav Kirchhoff (1824 – 1887) e il chimico Robert Bunsen (1811 – 1899) entrambi tedeschi, collaborarono in un campo chiamato spettroscopia di emissione degli elementi e scoprirono che ogni elemento assorbe o rilascia la luce a determinate lunghezze d’onda, scoprendo che ogni riga spettrale è tipica della composizione chimica dell’elemento che la emette e individuando tra l’altro il cesio e il rubidio. Questo consentì una potenza di analisi chimica fino ad allora impensabile, rendendo possibile la rivelazione della presenza di appena 1/3 di miliardesimo di grammo di sale di sodio. Anche se Kirchhoff e Bunsen non capirono esattamente la questione energetica a livello atomico, l’esistenza delle linee spettrali era spiegata efficacemente dal modello atomico di Bohr, che prevedeva il salto di un elettrone da un’orbitale all’altro con l’emissione di un fotone, gettando le basi per lo sviluppo di un campo completamente nuovo chiamato meccanica quantistica.
Attività radioattive (1890-1900)
Marie e Pierre Curie scoprirono e isolarono i primi materiali radioattivi. Dopo l’estrazione chimica di uranio da un suo minerale, la pechblenda, Marie osserva che il residuo è più attivo dell’uranio stesso e conclude che nel minerale erano contenuti nuovi elementi: il polonio e il radio. L’attività di queste sostanze, dalle note ripercussioni mondiali a tutti i livelli della scienza e della società, venne così battezzata Radioattività, da non confondere con la Teleattività, che è il passatempo preferito di alcuni esseri umani (forse un po’ troppi).
Plastiche (1869)
Fullereni e grafeni (dal 1985)
Un nanotubo di carbonio rotante, ma da che parte gira?
I chimici Robert Curl (1933 – ), Harold Kroto (1936 – ) e Richard Smalley (1943 – 2005) scoprono una forma completamente nuova di carbonio, composta da una struttura simile a una sfera cava, a un ellissoide o a un tubolare che verranno chiamate buckminster-fullereni, con riferimento alla somiglianza alle cupole geodetiche predilette dall’architetto Richard Buckminster Fuller. La scoperta del fullerene ha notevolmente ampliato il numero di allotropi del carbonio, che erano limitati alla grafite, al diamante e al carbonio amorfo (fuliggine e carbone). Oggi buckyballs e buckytubes sono oggetto di numerosissime ricerche sia per le loro singolari proprietà che per le emergenti applicazioni tecnologiche, soprattutto nella scienza dei materiali, elettronica e nanotecnologia. A tutto ciò, di recente si è aggiunto il grafene, una versione bidimensionale costituita da uno strato monoatomico di atomi di carbonio che non la smette di sorprenderci.
Bene, se avete pazientato fino a qui, ma non siete ancora sazi, godetevi questo splendido documentario-spettacolo che in quasi 45 minuti vi mostra quanto sopra esposto in un tripudio di effetti speciali e buckyballs! Buona visione e buon carnevale a tutti!
Fonte: Discovery Channel
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E voi quali scoperte aggiungereste?