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Il
quesito posto ai greci col referendum del 5 luglio era il seguente:
«Deve
essere accettato il progetto
di
accordo presentato da Commissione
europea,
Bce e Fmi
nell’Eurogruppo
del
25 giugno 2015, composto da due parti che costituiscono la loro
proposta?».
Dobbiamo dare per scontato che chi si è recato alle urne abbia letto
i due documenti che costituivano il progetto di accordo? Ne avrà
avuto il tempo, visto che il referendum è stato indetto solo pochi
giorni prima del voto? In altri termini, i greci sapevano con
esattezza a cosa stessero dicendo sì o no? Non lo sapremo mai,
ovviamente, ma un’idea
possiamo ricavarla a posteriori, per la delusione che accompagna chi
in Grecia e fuori dalla Grecia voleva vincesse il no. Se, infatti,
l’accordo
che Tsipras ha sottoscritto ieri è meno pesante di quello che ha
rifiutato il 25 giugno, la
delusione avrebbe senso solo a ipotizzare che chi è stato
soddisfatto dell’esito
del referendum non fosse a conoscenza di cosa fosse scritto in quei
due documenti. C’è
da chiedersi, dunque, a cosa abbia detto no. Per meglio dire, c’è
da chiedersi a cosa gli sia stato fatto credere dicesse no, e poi se
il farglielo credere sia stato intenzionale o meno.
Per risolvere la
questione non c’è
che da riandare ai giorni che hanno preceduto il referendum per
rileggere le dichiarazioni di chi parteggiava per il no.
Rileggendole, si capisce il perché della delusione: nulla di ciò
che avrebbe dovuto far forti le ragioni della Grecia con la vittoria
del no ha trovato modo di realizzarsi nel modo che si riteneva
dovesse esser ovvio. Si dirà che è proprio la vittoria del no ad
aver irrigidito l’Eurogruppo
del 12 luglio nella richiesta di condizioni che sono in tanti, fra
quanti parteggiavano per il no, a ritenere pesanti almeno quanto
quelle del 25 giugno. Bene, non era prevedibile? Voglio dire: chi ha
deciso di indire il referendum non doveva mettere in conto questa
reazione?
Si badi bene: qui non ho alcuna intenzione di dare un
giudizio di merito sull’intera vicenda, voglio limitarmi a
considerare perché sia stato indetto il referendum, quale
significato avesse realmente e quale invece gli si è voluto dare, e
quali risultati pratici abbia avuto. Se mi astengo dall’esprimere
la mia opinione sull’intera vicenda, è per una ragione
estremamente semplice: non le do molto peso, perché è della stessa
natura che ha spinto tanti a parteggiare per il no, ma di segno
diametralmente opposto. Io, ad esempio, ritengo che nel momento di
contrarre un debito si debba avere ben chiaro che per onorarlo si
debba essere disposti anche a morire di fame. Poi ritengo che, nel
momento di entrare a far parte di una comunità che si è data alcune
regole, quelle regole vadano rispettate, sennò si possa trarre la
sola conclusione di non farne più parte. Più in generale, ritengo
che la Grecia non avrebbe mai dovuto entrare nell’Eurozona o
uscirne già da tempo. Per parametri che avrebbero imposto analoghe
misure anche per altri paesi? Non mi interessa, d’altronde qui
stiamo parlando della Grecia, ma in ogni caso, sì, sarebbe stato
meglio se analoghe misure si fossero prese anche per altri paesi, se
avessero posto gli stessi problemi posti dalla Grecia. Di fatto,
almeno fino ad ora, questi problemi si sono posti solo per la Grecia,
e a mio modesto avviso questo doveva bastare a dichiararla fuori
dall’Eurozona. Sarebbe stato un problema anche per i paesi che ne
fanno parte? Peggio per loro, se non in grado di far fronte ad una
decisione che era imposta dalle regole che si erano dati.
Come
vedete, si tratta di ragioni che non tengono in alcun conto la logica
che guida verso il compromesso per motivi di opportunità. Insomma,
sono le ragioni di uno che non può pretendere di avere alcuna voce
in capitolo nella costruzione di un’Europa come quella che abbiamo.
Ecco, credo che sarebbe bello se allo stesso modo la pensassero anche
quelli che ritengono impensabile una Grecia fuori dall’Europa o una
Grecia in default, e pensano che questo debba essere evitato ad ogni
costo, anche a fronte delle resistenze della Grecia ad uniformarsi
alle richieste che le vengono dagli organismi che a torto o a ragione
sono deputati a dettare una linea comune: sarebbe bello se anche loro
ammettessero di non poter pretendere di avere voce in capitolo, e si
limitassero a considerare le questioni di metodo. Su queste,
soprattutto per come si sono messe le cose, credo si possa
concordare: Tsipras ha ingannato il suo popolo, il referendum si è
dimostrato ancora una volta uno strumento inutile e dannoso.
Giorni,
settimane, mesi a parlare della Grecia come culla della democrazia,
dimenticando che nella stessa culla vi è cresciuta pure la
demagogia.
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