Era trascorso circa un mese, Stefano aveva fatto piazza pulita di tutto ciò che aveva in casa e non gli serviva. Con la scusa che suo fratello Mario era in vacanza, aveva lavorato in casa, portando in cantina scatoloni di cianfrusaglie appartenute alla nonna, gettando via vera e propria spazzatura, liberandosi di tutto il ciarpame. Nelle prime settimane di settembre aveva imbiancato tutto l’appartamento, poi verniciato le porte e pure i mobili della vecchia cucina.
Era stato un lavoro duro ma che lo aveva aiutato a far ordine dentro di sé. Tutto bianco.
Uno spazio nuovo, dove reinventare se stesso. Con coraggio aveva esposto tutti i disegni che ritraevano Fog, scegliendone i migliori, per presentarli e per partecipare a qualche mostra giacché, prima di partire per la Sicilia, Mario gli aveva promesso una bella somma, per esporre i suoi lavori.
Adesso Stefano rimirava il suo nuovo studio, simile ad una tela vergine, e Fog era lì, presente ovunque, nei disegni a biro e in carboncino, nei tratti di matita, su sfondi lattiginosi di fogli di lucido. Ovunque lei.
Poco dopo giunse Luna, le aveva dato appuntamento perché fosse la prima a vedere il suo studio rinnovato. Lei rimase come impietrita sulla porta: «Ste’! È fantastico! Hai fatto tutto da solo?», disse rifilandogli la busta marrone del fornaio. La fragranza delle brioches solleticò le narici del ragazzo, che seguì con interesse l’amica: le stanze ora parevano gigantesche, come coperte di neve.
«Stefano è tutto candido!», disse lei piroettando, macchia vivacissima di colore. Si fermò a guardare la tela grande, dove Fog aveva occhi immensi e guardava dalla finestra, passò in rassegna gli album sul tavolo di lavoro, soffermandosi sui bozzetti a china. Stefano attendeva un giudizio, trattenendo il respiro.
«Lei chi è? Una nuova modella?», domandò Luna immediatamente, gli occhi maliziosi in cerca di altro.
Stefano sorrise: «Non so il suo nome, io la chiamo Fog.», e guardò i ritratti con l’orgoglio di un padre.
Lei li rimirò ancora: «Sono molto belli, diversi dal tuo genere, così ovattati… Come potrei dire? Nebbia è davvero un nome adatto per identificarli… ma perché sono tutti in bianco e nero?»
«Perché non so che colori abbia, lei.», ammise Stefano senza vergogna.
Luna sgranò gli occhi: «Che cosa? Ma davvero non è una modella? L’hai inventata e non puoi darle i colori che vuoi?! Questo fatto è strano, però questi disegni sono pieni di carica. Nonostante i colori spenti, vibrano. Ne hai a olio?», lui le mostrò due piccoli cartoni telati che non aveva mai visto nessuno.
«Sono davvero intensi, piaceranno molto! Devi presentarli. Ma lei chi è?», insistette l’amica.
Stefano non riuscì a trattenere l’entusiasmo: «Fog, chiunque sia, è la mia musa. La presenza che sento accanto, ogni volta che sono solo, la donna che mi guarda da sempre. Lei è dietro i miei occhi ma non riesco mai a focalizzarla, non è che un’ombra… Se solo la incontrassi! Lei è sempre qui, con me!»
Luna rabbrividì: «Tu mi spaventi.», e aveva un’aria leggermente preoccupata mentre si avvicinava a lui. Stefano si lasciò sistemare i capelli, sorridendole mentre gli diceva: «Sono felice che tu abbia ripreso a dipingere per te stesso, ma parli di una persona che non è, di un sogno! Non puoi isolarti per disegnare la donna dei tuoi sogni.», si fece un attimo di silenzio e Stefano fu quasi certo di come lei avrebbe terminato la frase. …mentre io sono qui, ora. Ma non era più il loro sogno, quello. Adesso lei stava con Antonio, lo aveva saputo da Claudio e Marcello. Alla fine lo aveva avuto per sé e Stefano ne era contento.
Per colmare quel silenzio, lei si mise a ridere, gettando il soprabito sul cavalletto: «Vabbè, diciamo che è una fase, che questo è il tuo Periodo Bianco. Per quanto sia abbacinante, è curioso. Facciamo un caffè?», e si era diretta in cucina, facendo commenti sulla vernice bianca che era stesa anche lì.
Stefano replicava con lo stesso tono scherzoso, armeggiando con la caffettiera, mentre ridevano rilassati: «Anche Picasso era considerato un pazzo, è questo che intendi?»
«Proprio così! Sai che mi piace, questo rinnovo locali? Mi ricorda lo studio del Prof, anche lui prediligeva il bianco, per lavorare.», aveva sentenziato Luna, infine.
«Sì, in effetti ho cambiato tutto per avvicinarmi a lui.», aveva ammesso Stefano.
Nel sentirlo Luna fece un sorriso radioso: «Ne sono felice!»
Il ragazzo arrossì, suo malgrado, e indicando i barattoli da cucina che non aveva ancora riordinato, ed erano raggruppati in una cassetta della frutta, le chiese di prendere lo zucchero.
Mentre versava il caffè nelle tazzine scompagnate, Luna esclamò: «Questo cos’è?»
Da un contenitore ermetico che Stefano aveva solo intravisto, Luna estrasse un fascio di banconote trattenute da un elastico verde un fagottino di plastica ricavato da una busta della spesa. Lo aprirono con curiosità, i capi chini sul tavolo, come due bambini a Natale. Conteneva quelli che sembravano piccoli sassi grigi, e dall’involucro caddero anche due minuscole bustine di cellophane dalla consistenza strana.
I due ragazzi si fissarono, muti. Si trattava quasi sicuramente di eroina, non sapeva se Luna lo comprendesse, ma quando lei ritrasse la mano pulendosi il palmo sui pantaloni, ne fu sicuro.
«Ste’?», domandò lei con occhi grandi.
«Io mio fratello lo ammazzo!»
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