15 secondi di notorietà

Creato il 11 ottobre 2012 da Lundici @lundici_it
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In un recente articolo, Umberto Eco sottolinea come l’importanza di costruire e preservare una buona reputazione sia stata sostituita dalla ricerca della notorietà. Non importa a quale prezzo (raccontare i fatti propri in TV o addirittura essere accusato di qualche malefatta), l’importante è poter essere riconosciuto per strada: “Guarda è lui! L’ho visto in televisione!”.

Autoritratto di Andy Warhol

Andando oltre il discorso di Eco, è letteralmente sotto gli occhi di tutti la consuetudine per cui non solo è normale, ma è anzi auspicabile che ciò che facciamo sia visibile o udibile da chiunque. Nello scompartimento di un treno, parliamo al cellulare degli affari nostri senza preoccuparci del fatto che gli altri passeggeri possano ascoltare. Anzi, forse, inconsciamente compiacendocene. Se andiamo in palestra, è probabile che finiremo per fare esercizio di fronte ad un vetro trasparente che permette ai passanti di vederci mentre sudiamo o zampettiamo al suon di musica. Quando siamo in vacanza, immediatamente pubblichiamo foto e commenti su qualche rete sociale: è così che si fa. Dobbiamo apparire, dobbiamo farci vedere, dobbiamo farci notare: appaio ergo sum.

Ma c’è di più. Oggi, nel 2012, si sta compiendo la profezia espressa nel 1968 da Andy Warhol: “Nel futuro, tutti potranno avere i loro 15 minuti di notorietà”. Fino a qualche anno fa, infatti, esisteva una ristretta cerchia di persone “famose”, il cui nome appariva sui mezzi di comunicazione che lo rendevano pubblico. Entrare a far parte di questa “élite” e far sì che il proprio nome o le proprie gesta o opere fossero di pubblico dominio era assai difficile. Oggi non è più così. Oggi giornali, siti internet, pagine Facebook, ecc. ci invitano continuamente a “postare” le nostre foto (per esempio di un evento meteorologico o un qualsiasi accadimento), le nostre storie, i nostri video, qualsiasi tipo di contributo.

Vignetta di Altan

Noi, gli utenti, scrupolosamente obbediamo. Perché, come afferma Eco e come previde Warhol, vogliamo la nostra sacrosanta parte di notorietà. Ed oggi, grazie ad internet, possiamo ottenerla. La foto della nevicata nella nostra città sarà probabilmente pubblicata sul sito del quotidiano nazionale ed il nostro nome sarà – almeno potenzialmente – letto da milioni di lettori. Saremo famosi! Proprio come aveva previsto Warhol. Con una differenza: non si tratterà di 15 minuti, ma di 15 secondi…

Infatti il nostro “contributo” sarà presto affiancato e sostituito da quelli migliaia di altri volenterosi utenti, così che l’attenzione che un lettore dedicherà al nostro, non potrà durare più di un tempo limitatissimo. In altre parole, nella superficiale frenesia della rete, saremo “notati” solo per qualche secondo. Acquisire una notorietà più “permanente” sarà assai improbabile. Sia perché sarà improbabile che la nostra foto o reportage sollecitato dal sito sia di qualità tale da risaltare sopra tutti gli altri. E sia perché anche se così fosse, sarebbe difficile che il suo valore possa essere effettivamente riconosciuto in mezzo a tutti gli altri.

Il risultato netto dell’operazione è che il sito web (generalizzando) che ci ha invitato a “contribuire” si ritroverà con un gran numero di “contenuti”, ottenuti a costo zero. Senza dover pagare corrispondenti, fotografi, redattori, ecc. Certo, la qualità non sarà necessariamente alta, ma in fondo, nella suddetta superficiale frenesia della rete (e dell’informazione), a chi importa della qualità?

In altre parole, la summenzionata barriera tra “famosi” e “non famosi” è solo apparentemente resa più permeabile da internet. Sì, è vero: il nostro nome ha la effettiva possibilità di essere “notato” da milioni di persone, ma solo per qualche secondo dopo i quali tornerà nell’oblio, confuso nella massa. Chi sta sopra di noi, i “potenti”, i giornalisti, i “famosi” continueranno ad essere tali e noi – allo stesso modo – non cambieremo di una virgola il nostro grado di notorietà. Non solo: obbedendo ad un ordine non pronunciato, avremo invece solertemente contribuito, come volenterosi “stagisti”,  ad arricchire ed aumentare il grado di notorietà e “potere” di chi sta sopra di noi ed è già noto e potente.

L’autentica “rivoluzione copernicana” introdotta da programmi come il “Grande Fratello” non sta tanto nell’avere messo in piazza gli affari altrui, quanto proprio nel fatto che le case di produzioni televisive, sfruttando l’ansia di notorietà di perfetti sconosciuti (esistevano selezioni per partecipare al “Grande Fratello”), sono oggi in grado di produrre a costi risibili programmi televisivi di enorme successo e grande ritorno economico. Seguendo lo stesso meccanismo, giornali, siti web, ecc. invitano a “partecipare”, sapendo di poter contare su milioni di “volontari” che non solo contribuiranno ad offrire contenuti a costo zero, ma lo faranno anche felici e desiderosi di poterlo rifare.

Anche aziende come compagnie telefoniche hanno compreso: scelgono un testimonial “famoso” e poi invitano la “massa degli utenti” a contribuire ad un progetto come, ad esempio, la produzione di un cortometraggio sul problema del riciclo dei rifiuti. Il successo dell’operazione è assicurato: la compagnia telefonica riceverà migliaia di filmati di entusiasti utenti felici di contribuire e di far parte di un progetto dal così nobile contenuto, tra i quali magari qualcuno è pure di buona qualità. L’azienda produrrà il cortometraggio a costi limitatissimi e migliorerà la propria immagine per l’attenzione dedicata ad un tema così importante e magari si farà pure invitare ad un festival giornalistico dove mostrare le nuove frontiere dell’informazione…

Non c’è nulla di male ad inviare le proprie foto o “regalare” il nostro tempo e le nostre energie inviando i nostri contributi a qualche sito web o giornale. Dobbiamo però ammettere che nessuna dittatura comunista o faraone egizio è mai riuscito ad ottenere tanto dal proprio popolo…


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