Magazine Cultura
di Delphine e Muriel Coulin (Francia, 2012)
con Luoise Grinberg, Juliette Darche, Roxane Duran, Esther Garrel, Yara Pilartz
VOTO: **
Tratto (pare) da una storia vera, accaduta negli Stati Uniti, le sorelle Delphine e Muriel Coulin decidono di trasportare a Lorient, piccola cittadina francese sulla costa atlantica, la curiosa storia di 17- ragazze-diciassettenni che decidono di restare incinte tutte insieme, nell'arco di poche settimane, sia in segno di solidarietà verso la 'leader' del gruppo (ribelle per antonomasia e prima ad 'aprire le danze', a causa di preservativo rotto...) sia come gesto di sfida verso una società bigotta e perbenista che non 'concepisce' (il gioco di parole ci sta tutto) nemmeno negli anni duemila l'idea di mamme-minorenni.
Insomma, la maternità come ribellione verso il sistema ed extrema ratio verso il disperato desiderio di indipendenza e di accettazione: sulla carta c'erano tutti i presupposti per farne un film interessante, a cominciare da una storia intrigante e decisamente curiosa, sebbene molto romanzata dalla coppia di registe (in realtà quanto accaduto in Massachussets sembra sia stato un fatto molto meno 'poetico' e sociale: le liceali americane sarebbero state spinte da desiderio di emulazione verso il film Juno di Jason Reitman, in cui però la gravidanza della protagonista era accidentale e non voluta), ma lasciamo stare.
Quello che conta è che, cinematograficamente parlando, si nota in questa pellicola un'evidente sproporzione tra buone intenzioni ed effettiva riuscita. Probabilmente le tre lettrici donne di questo blog non saranno d'accordo con me, giudicandomi poco sensibile ad argomenti delicati e tipicamente 'femminili', forse difficili da capire per un uomo che, come nel caso del sottoscritto, non è nemmeno padre. Ma non posso esimermi dall'affermare che 17 ragazze è un film presuntuoso e irritante, poco risolto e tremendamente noioso.
17 ragazze ha il demerito di concentrarsi quasi esclusivamente sullo scorrere delle maternità delle sue protagoniste, lasciando fuori tutto quello che c'è 'oltre' le loro vite: non si parla quasi mai delle loro famiglie, delle istituzioni, delle persone che frequentano e, soprattutto, di coloro senza i quali quelle maternità non ci sarebbero mai state... insomma, nel film i ragazzi, i padri naturali, non esistono. Non contano, restano sullo sfondo lasciando i riflettori esclusivamente alle fanciulle.
Il problema è che lo sguardo della macchina da presa verso le ragazze è pesante e sfocato, tipicamente 'dardenniano' (i fratelli belgi, pluripremiati a Cannes, sono i produttori del film), fatto di interminabili primi piani, infiniti campi lunghi sui tristissimi paesaggi atlantici, pieno di silenzi e frasi spezzate, che potrebbero voler dire tante cose ma anche niente (e il sospetto viene più di una volta). Ne viene fuori una pellicola ruffiana e auto-referenziale, monotona e noiosa come poche, che nei novanta minuti scarsi di durata ti spinge più di una volta a guardare l'orologio. Classico oggetto da festival, molto 'francese' (con la erre moscia) ma estremamente dimenticabile.
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