Non ci sarebbero così tante canzoni a parlare di questo mese, in fondo, se non fosse per tutti una nuova occasione. Eppure non è a questo che mi riferivo. No. Io parlavo delle date. Di questa data. Di un numero che a me non ha mai portato sfortuna.
Era un diciassette di Settembre quando, in un aeroporto in cui non sono più tornata, sul boeing di una compagnia aerea che non ho mai più usato, m'imbarcavo per la più bella delle avventure. Era un viaggio lungo, di quelli che esigono valige più grandi di te. Nello stomaco, la lieve paura eccitata che precede le azioni che ti sembrano insensate; e poi, curioso a dirsi, sono proprio quelle di cui non ti penti mai. Ricordo che il volo era trascorso tra chiacchiere e qualche lacrima. Doveva essere così. In un film lo sarebbe stato. Non la conoscevo bene, Daniela. Giusto un incontro fugace in Via D'Azeglio alla consegna di un paio di moduli. Eppure entrambe, su quell'aereo, trovavamo giusto raccontarci la vita. La vita passata, la vita in Italia, la vita di pre-erasmus che ci aggingevamo a lasciare. Certe cose dette a lei, forse non le avevo forse ancora ammesse nemmeno a me stessa. Tanto non avevano importanza.Tanto lo sapevo, in quel momento come lo so ora, che quel viaggio mi avrebbe cambiata per sempre. Che quei dieci mesi a Málaga mi avrebbero resa una persona diversa. Una tornata con la gonna lunga, un top marrone e un fiore in testa, che in dialoghi di lingue mischiate sarebbe stata scambiata per spagnola. Una che, per guardare il mondo, indossava adesso un altro paio di occhiali. E non parlo soltanto della montatura.Quel 17 di Settembre mi ero svegliata consapevole che non ci sarebbero piú state sessioni d'esame, aperi-cena all'Aquolina, feste in appartamenti minuscoli o serate in Pilotta in mezzo alla settimana. Non ci sarebbero state sangríe al Tapas con Francesca dopo le lezioni di Tarantino, né la sveglia di Laura che suona troppo presto con note dei Rolling Stone. La mia vita di studentessa a Parma si era conclusa in un punto e a capo. Ora c'era da rimboccarsi le maniche, e capire com'era quella da donna adulta nel mondo del lavoro.
Ma Dani Martín é Dani Martín, e forsa la mia vita riuscirá a cantarla sempre. Anche oggi. Anche con questo lavoro. Perchè Dani è quel tipo di persona che incontra una tua amica a Madrid e inaspettatamente, senza che nessuno faccia il tuo nome, le chiede di te. Come sta Ilaria. Dov'è. Che fa. E dalle un bacio da parte mia. Tu lo vieni a sapere, lo ringrazi in un messaggio privato, e - sarà anche di due sillabe - ma la risposta fa dimenticare ogni rancore.
Così ti trovi a pensare che, tutto sommato, pettinatura ed arte non sono necessariamente incompatibili. Clicchi compulsiva sul link della mensajería DHL. E d'impulso, all'insegna del "tutt'al piú faró del turismo" ti prenoti un volo per Bilbao.
Ci ho fatto
un outfit dedicato, a quel disco, manco a dirlo. Eppure, mentre lo ripropongo, mi viene in mente che oggi esce anche un greatest hits dei Negrita. Che magari non saranno tra i gruppi epocali della mia esistenza, ma ne hanno fatto parte – oh, eccome - in modo abbastanza decisivo. Basti pensare alla videointervista in cui sono incappata per caso. Parlavano del rock argentino. Del Cile. Di una canzone che mi é rimbombata in testa per l'intera durata dell'estate. Mi sembra un segno, anche questo. Come mi sembra un segno che oggi, diciassette di Settembre, la mia migliore amica ha scoperto che in grembo porta una bambina. Il migliore dei risvegli, in sequenze di bip. "Finalmente ho un pretesto per compare le Barbie flamenche!", ché ora sembra tutto un po' piú vero.E' il diciassette di settembre. E, alla luce di tutto questo, ho deciso di iniziare a lavorare seriamente al mio secondo libro. Di strutturarlo, quantomeno, in attesa di tempo concreto per buttarlo giú.
Poi magari sará l'ennesima idea che accantoneró dopo un capitolo e mezzo. Il contrario, ormai, non ve lo posso garantire. Peró oggi guardo il calendario, e di colpo mi sento fiduciosa.