Jorge Rafael Videla prese il potere con un putsch militare il 29 marzo del 1976 destituendo Isabelita Peron, terza moglie di Juan Domingo Perón, cui era succeduta due anni prima, alla morte del generale. La vita di Peron è strettamente legata a quelle dell’Argentina di cui fu presidente dal 1946 al 1955, quando anche lui venne destituito da un golpe, e dal 1973 fino alla morte.
La dittatura militare di Videla, accreditata nel mondo intero anche dalla vittoria ai mondiali di calcio del 1978 della nazionale di Kempes, Passarella e Menotti, fu tra le più feroci di quelle sudamericane degli anni settanta. “Morirà il numero di persone necessario per conseguire la sicurezza del paese”, aveva dichiarato Videla: 30.000 desaparecidos, oppositori, soprattutto giovani, rapiti, torturati e uccisi; almeno 500 neonati, figli di dissidenti, strappati ai genitori e affidati a famiglie vicine al regime; centinaia di detenuti sedati, bendati e buttati a mare dai cosiddetti “voli della morte”.
La dittatura di Videla, come quella di Pinochet nel confinante Cile, prosperò anche sulla complicità e l’indifferenza dei governi occidentali. Tra questi anche l’Italia.
Qualche anno fa La storia siamo noi, uno dei più apprezzati programmi della Rai, scomparso però dal palinsesto del prossimo anno, ha dedicato una puntata a Enrico Calamai, console italiano a Buenos Aires negli anni della dittatura. Calamai rischiò in prima persona per ritrovare, mettere in salvo e far espatriare quasi cinquecento persone, vittime o potenziali vittime della repressione.
Il programma raccoglie le drammatiche testimonianze di alcuni di questi sopravvissuti tra cui Claudio Camarda, Herman Varela e Maria Mosca.