“Superiamo il falso mito del ‘caro energia’ e puntiamo sull’innovazione per un rilancio della nostra industria. È arrivato il momento di concentrarsi sui reali fattori che rallentano e, sempre più spesso, penalizzano la crescita delle aziende italiane, rendendole così meno competitive rispetto alle concorrenti straniere: fisco, lunga burocrazia, scarsi investimenti in ricerca e sviluppo”.
Così commentano Francesco Ferrante, Vicepresidente di Kyoto Club, edEdoardo Zanchini, Vicepresidente Legambiente, nel presentare i numeri che dimostrano che nel dibattito pubblico italiano troppo peso viene dato al ‘caro energia’.
Mentre fuori dall’Italia si pensa a puntare sull’innovazione, il nostro Paese si concentra troppo ossessivamente sui prezzi dell’energia, troppo alti a parere dei più. Il dibattito che ricorre oggi in Italia, infatti, riguarda il costo dell’energia che viene considerato troppo elevato e visto come uno degli elementi che penalizzano la capacità competitiva delle imprese italiane e che mettono in ginocchio le famiglie con bollette – sempre secondo tale convinzione- su cui ricadono gli oneri legati agli incentivi alle rinnovabili.
Non è così. Le aziende “energivore” beneficiano di sconti grazie ai quali pagano l’energia elettrica quanto quelle tedesche, se non addirittura meno: quelle che consumano tra 70.000 e 150mila mWh /anno addirittura il 15% in meno dei loro concorrenti tedeschi (0,1234 c/kWh contro 0,1449 c/kWh, dati Eurostat). E anche per le famiglie italiane l’elettricità costa meno che in Germania (per consumi fino a 2500 kWh/anno: 0,20 c/kWh in Italia, 0,31 c/kWh in Germania).
Kyoto Club e Legambiente sottolineano che per le famiglie italiane, il costo dell’energia incide per il 5% sulla spesa media mensile, ma meno della metà è da attribuire all’energia elettrica (Fonte, Istat). Se dalle nostre bollette togliessimo gli oneri riferiti alle rinnovabili, le famiglie italiane potrebbero risparmiare il 3 per 1000 al mese (corrispondente a 7 euro su circa 2500 euro). Quindi, i costi che gravano i bilanci delle nostre famiglie sono ben altri: per esempio, quelli legati al riscaldamento e ai trasporti (oltre il 14%).
È vero invece che la categoria per cui c’è un differenziale rilevante sui costi energetici è rappresentata dalle PMI (per consumi tra 500 e 2000 MWh/anno il costo italiano, pari a 0,1951/kWh, è il 30% più alto della media europea, anche se solo del 4% rispetto ai prezzi tedeschi).
Ma quanto pesa davvero quella voce sul fatturato aziendale? Sono i dati Anie (la Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche aderente a Confindustria) che ce ne raccontano la sostanziale irrilevanza: soltanto per il 3,8% delle nostre imprese il costo dell’energia elettrica supera il 3% del fatturato aziendale; per il 19,2% incide per meno dello 0,1% e per un altro 50% non arriva allo 0,5% dei ricavi.
“Tutto questo – concludono Ferrante e Zanchini – deve spingere il Governo a investire su ricerca e innovazione, e speriamo che il Presidente del Consiglio vada nei prossimi giorni in Europa a sostenere le posizioni più avanzate sui target al 2030 relativamente alla riduzione delle emissioni di CO2, aumento della produzione da rinnovabili ed efficienza energetica, e non ascolti invece le solite sirene conservatrici”.
Fonte: Kyoto Club
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