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1810-2010, duecento anni dalla prima edizione dell’Organon

Creato il 30 gennaio 2013 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Omeopatia
1810-2010, duecento anni dalla prima edizione dell’Organon

Questo lavoro è stato presentato al IX Congresso Nazionale di Medicina Omeopatica FIAMO, per il ventennale della Federazione, tenutosi in Verona nel Maggio 2010
Nel luglio 1810 sull’Allgemeine Anzeiger si pubblica il compendio di un libro in corso di stampa dal titolo “Organon der Rationellen Heilkunde”. All’inizio dell’autunno il libro era già interamente stampato grazie alla generosa riconoscenza di un paziente, come ci farà sapere Hering nella presentazione che scrive per l’edizione inglese, dall’editore Arnold di Dresda.
La pubblicazione dell’Organon segna il vero inizio della storia dell’Omeopatia, tutti possono finalmente sapere cosa, nei quindici anni precedenti, avesse osservato, sperimentato e provato quello strano medico cresciuto tra Meissen dove era nato, Lipsia ed Erlangen dove aveva studiato, Vienna dove aveva iniziato la pratica medica e le varie piccole corti e lande minerarie o contadine dove aveva esercitato la medicina, fino al suo ritorno a Lipsia e poi a Torgau.
Certamente aveva già pubblicato il “Saggio su un nuovo principio di individuazione dei poteri curativi dei farmaci” nel 1796, aveva pure dato alle stampe la “Medicina dell’esperienza” (Heilkunde der Erfahrung) nel 1805, solo cinque anni prima, ma l’Organon segna un salto di qualità nettissimo. È evidente che si sta fondando un nuovo modo di intendere il concetto di salute e di malattia, che si modifica profondamente la relazione tra medico e paziente fino ad allora in voga, che si cambia il passo nel modo di studiare la farmacopea e la sua applicazione ma soprattutto che da quel momento in poi non sarà più possibile ignorare il principio di similitudine nella cura degli ammalati.
Hahnemann aveva già subito una serie di ostracismi e di attacchi da colleghi e farmacisti, era stato deriso da chi trovava insostenibile l’idea che una sola sostanza semplice in quantità modeste, anzi infinitesime, potesse guarire un ammalato, che fosse razionale non applicare più tutte quelle pratiche che nei secoli precedenti avevano fatto la storia della medicina, dai salassi ai purganti, dai setoni ai vomitivi, dagli impiastri alle ricette complesse. Ma da quel momento iniziano gli attacchi più violenti e sistematici contro il Metodo Omeopatico e il suo estensore, spesso le confutazioni sono delle semplici calunnie altre volte delle distorsioni delle teorie hahnemanniane. È questo il momento in cui per l’omeopatia inizia il percorso di verifica quotidiana, la necessità di dare risposte razionali a tutte le osservazioni e le confutazioni che vengono addotte contro il metodo, quel percorso a duecento anni dal suo inizio è ancora lontano dall’essere concluso.
Sono ancora presenti dei quesiti che attendono risposta, primo fra tutti: come può una sostanza che sia fortemente diluita, fin oltre il numero di Avogadro, mantenere attiva l’azione del solvente nel quale è stata inizialmente disciolta? A cui pure aveva tentato di dare una risposta lo stesso Hahnemann nella prefazione del quarto volume della “Materia Medica Pura” pubblicato nel 1818, scritta in forma di saggio dal titolo “Come è possibile che piccole dosi omeopatiche possiedano un potere così grande?”.
Il testo “Organon der Rationellen Heilkunde” pubblicato nel 1810 è la base da cui prenderanno spunto tutte le successive elaborazioni della teoria omeopatica, che vedrà nei successivi trentatré anni altre cinque edizioni, di cui la sesta pubblicata postuma. Hahnemann revisionò molto profondamente la stesura dell’opera già pochi anni dopo con la seconda edizione a cui aveva modificato perfino il titolo in “Organon der Heilkunde”, semplicemente “Organon dell’arte di guarire”, non era più necessario specificare che fosse razionale, perché un’arte che cura è per sua stessa necessità razionale. Ancora nuovi cambiamenti vengono apportati con la terza e molto di più con la quarta edizione dell’opera, in cui affluiscono le conclusioni degli studi sulla malattia cronica che aveva appena pubblicato con l’opera “Die chronischen Krankheiten”. Il susseguirsi di una edizione dopo l’altra con sempre nuove variazioni e correzioni, confermano l’idea di uno scienziato sempre in cerca della migliore soluzione per la cura dei malati.
Non è l’esposizione della verità rivelata, non ha mai la pretesa di porre la parola definitiva sul metodo che ha messo a punto, per quanto sia assertivo e fermo nelle sue affermazioni, ci mostra come si possa sempre rivedere e migliorare ogni supposizione, ogni ipotesi di lavoro. Colpisce il desiderio di porre delle basi indiscutibili per la pratica della medicina: la definizione di salute, di malattia, di cura e guarigione, la definizione di medicina e le modalità per accertarne le proprietà terapeutiche. È indiscutibile il profondo senso religioso e la fede di Hahnemann, ma proprio per questo colpisce ancora di più la sua capacità di mantenere una visione scientificamente laica della medicina.
È laico nel porre al centro dell’interesse della medicina il malato, lo è nella scelta di studiare scientificamente, con sperimentazioni dirette, le proprietà delle sostanze da utilizzare nella cura degli ammalati, lo è nel sottoporre a revisione le conoscenze e le certezze della medicina del suo tempo, sottraendo al medico una sicumera che lo staccava dall’umanità sofferente, ma attribuendogli la capacità di entrare in empatia con essa per l’acquisizione degli strumenti di indagine clinica più profonda e di indagine sperimentale sull’uomo sano. Due momenti che hanno spostato l’attenzione della medicina direttamente sull’essere vivente con le sue proprie caratteristiche, studiate nello stato di salute e nello stato di malattia, sia naturale che artificiale e messi in relazione per similitudine.
Ho la certezza che i primi otto paragrafi dell’Organon, se proposti a qualsiasi medico, senza rivelare da chi siano stati scritti, otterrebbero il consenso generale, forse sarebbe richiesto di ammodernare il linguaggio, ma i postulati che enunciano, sono l’essenza stessa della pratica medica moderna. Tutto il resto dell’opera ne discende con una consequenzialità inappuntabile. Quello che ancora oggi stupisce, coloro i quali lo leggono con libertà di pensiero, è la capacità di Hahnemann di condensare in brevi aforismi, un concetto complesso. E’ questo che poi ci obbliga a tentare lunghe disquisizioni sul senso di quanto esposto, sul vero significato delle espressioni hahnemanniane, eppure tutte le varie esegesi non possono non concordare sul significato inequivocabile dei concetti di malattia, di guarigione e di percorso terapeutico che pur definito due secoli fa ci appare contemporaneo e molto aderente alla realtà della nostra pratica clinica quotidiana.
Ancora oggi a distanza di 200 anni quell’incipit “Des Arztes hochster und einziger Beruf ist, kranke Menschen gesund zu machen, was man Heilen nennt” “Il più alto e unico compito del medico è, rendere sani gli ammalati, ciò che la gente chiama guarire”, nella sua semplice brevità è fulminante. Ci mette davanti all’unica cosa che è richiesta ad un medico, guarire l’umanità ammalata. Dice ai pazienti cosa aspettarsi da un medico, essere guariti. È vero che per spiegare cosa sia la guarigione e come ottenerla, spenderà i successivi 290 paragrafi e ben sei edizioni, ogni volta modificate anche in concetti molto importanti. È altrettanto vero che a duecento anni dalla pubblicazione della prima edizione ancora ci chiediamo e rielaboriamo i concetti di guarigione, di cura, di medicina omeopatica riuscendo solo a creare molti modi di fare l’omeopata, molti modi per animare serate e congressi e soprattutto molti modi di guarire i pazienti.
Ancora oggi sono proprio i pazienti al centro dell’azione del medico omeopata, il suo compito rimane ancora guarire gli ammalati e non creare sistemi ed ipotesi privi di fondamento, del fondamento della clinica, del supporto dei dati scientifici che l’osservazione quotidiana degli ammalati ci restituisce quando questi sono guariti. Ciò che rimane dopo aver letto, attentamente, l’Organon è una sensazione di impercettibile cambiamento nel proprio modo di vedere la malattia e nel proprio modo di essere paziente o medico. Come scrive Wenda Brewster O’Reilly nella introduzione alla sua traduzione in inglese dell’Organon, interpretando benissimo il significato che il libro aveva per Hahnemann, “L’Organon è un rimedio della più alta potenza. Come altri grandi lavori dell’arte rivela costantemente nuove meraviglie e misteri, agendo dinamicamente in relazione ad ogni lettore ed agendo diversamente ad ogni lettura”.
Bibliografia
S. Hahnemann: Organon of the Medical Art, Edited and annotated by Wenda Brewster O’Reilly, Birdcage Books, Palo Alto, California 1996
T.L. Bradford: La nascita dell’omeopatia, trad. M. Di Stefano, Perla Edizioni, Grosseto, Italia 1993
S. Hahnemann: Organon dell’Arte di Guarire, trad. G. Fagone
S. Hahnemann: Organon der Heilkunst, Haug Verlag, Stuttgart, Germany 2002
1. W. Brewster O’Reilly, Organon of the medical art, p.xvii , trad. Giuseppe Fagone



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