Schizzo del fonte lustrale e dell'epigrafe (L. Maggiulli, 1859)
Il 19 aprile del 1859, in un imprecisato fondo di Muro Leccese sotto le picconate di un contadino, è dissotterrato un fonte lustrale in pietra leccese. Osservandolo, il famoso storico murese Luigi Maggiulli (1828-1914) nota sul suo bordo, graffita in caratteri messapici, l’iscrizione “HANΩORIAS SANAN AFRODITAN MA… “ (1).
Il Maggiulli, continuamente impegnato nella ricostruzione delle memorie patrie, scorge nel reperto nuovi elementi utili allo studio dei Messapi i quali, è noto, già dal VI sec. a.C. avevano fatto di Muro una delle loro maggiori città. Lo studioso è spinto, sia per la copiosità dei resti della civiltà messapica disseminati sul territorio di Muro e sia per l’interesse che il mondo accademico mostra nei confronti dell’antico popolo salentino, a proseguire gli scavi su quel terreno. Vengono così alla luce le fondamenta di un antico tempio di forma circolare in fondo al quale giace, su un altarino, una statuetta bronzea alta tredici centimetri e priva di testa oltre ad una colonnetta che probabilmente le serviva per base di appoggio. Si rinvengono, ancora, due frammenti di vaso e, in particolare, su uno di questi dal fondo nero è dipinta in bianco la figura di un uomo in groppa a un cavallo alato. Davanti all’entrata, altresì, si scoprono una tomba e, all’interno, uno scheletro con una moneta d’argento di Taranto posta sul teschio e ai piedi una di Terina, antica città calabra.
Schizzo del tempio e luogo dei ritrovamenti. A sinistra la statuetta di Afrodite poggiata su una colonnetta (L. Maggiulli, 1859)
Il Maggiulli, dopo un’attenta analisi dei reperti e considerando il chiaro riferimento epigrafico ad Afroditan presente sul fonte, ritiene di aver scoperto un tempietto messapico dedicato ad Afrodite (o Venere dei latini) e invia, nello stesso anno, una dettagliata lettera all’Istituto di Corrispondenza Archeologia di Roma (cfr. Bollettino n. XI-1859). Nella sua relazione lo studioso riferisce che la statuetta rinvenuta sia la rappresentazione di una dea perché, anche se sembra riprodurre un uomo, osservandola attentamente molti elementi del suo abbigliamento sono femminili. Difatti, essa riproduce un corpo coperto da un lungo pallio che pende dalla spalla sinistra e al disotto dello stesso si notano le pieghe di una castola, antica sottoveste femminile. Quest’ultima è legata sotto il seno del quale sono ben evidenti le papille. Il suo braccio destro è tenuto fermo sul petto mentre il sinistro scende lungo lo stesso fianco. E’ evidente, prosegue il Maggiulli, che nel popolo messapico il culto orientale di Afrodite sia da collegarsi all’influenza, nel Salento, della cultura greca classica. La stessa figura dell’uomo sul dorso di un cavallo alato, così come già anticipato, presente su uno dei due cocci di vaso ritrovati, può anche ricondursi al culto ellenico della dea. Difatti, secondo la mitologia greca, l’uomo e il cavallo sono presenti solo in due racconti e cioè in quello di Arsinoe, moglie di Apollo, la cui venerazione si associa a quello di Venere Zefirite oppure alla storia di Ermafrodito, figlio di Mercurio e Venere.
Sconosciuto, invece, rimane allo studioso murese il significato dell’epigrafe incisa sul fonte lustrale e così, tramite l’Istituto romano di Corrispondenza Archeologica, riceve una prima interpretazione dal tedesco Georg Curtius (1820-1885), professore dell’università di Kiel. Il valente linguista sottolinea l’importanza della scoperta sia in riguardo paleografico, essendo uno dei primi esempi di epigrafi scritte in messapico da destra verso sinistra, e sia per la presenza della lettera q (in hanqoria) che l’epigrafista tedesco Theodor Mommsen (1817-1903), scopritore dell’idioma messapico, non aveva ancora menzionato nell’alfabeto da lui compilato. L’iscrizione, secondo il Curtis, sembra contenere la dedica a una statua di Venere dove la parola hanqoria si potrebbe riferire a un nome proprio femminile ma, tuttavia, sul significato non si pronuncia poiché le scarse conoscenze di quella lingua, o dell’antico dialetto di origine illirica, permettono solo di fare delle supposizioni.
Il limite del mondo accademico di fronte all’interpretazione della lingua messapica, ancor oggi parzialmente conosciuta, spinge il Maggiulli, assieme a Sigismondo Castromediano (1811-1895), a pubblicare nel 1871 “Le iscrizioni messapiche” raccolte nel Salento al fine di avere diversi e numerosi esempi utili a poter confrontare frasi, lettere e parole e, quindi, in futuro «cogliere il concetto che vi si trova inciso». Gli studi e le scoperte del Maggiulli rappresentano per il Salento un’eredità culturale di straordinario valore ma è lo stesso studioso, conscio delle limitate conoscenze del tempo, a insistere affinché il suo lavoro sia ulteriormente approfondito per meglio comprendere la nostra storia. Per questo motivo, assieme al Castromediano, rivolge ai giovani l’invito a proseguire nella ricerca e agli stessi che, «con profitto della scienza e della patria intendono applicarsi agli studi severi», dedicherà la raccolta d’iscrizioni messapiche. Oggi, per donazione fatta dallo stesso Luigi Maggiulli, i reperti del tempio di Afrodite di Muro L.se sono conservati nel Museo Archeologico Provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce disponibili, per dirla con le parole dello studioso, «a tutti coloro che nuovi studi volessero aggiungere all’argomento» (2).
(1) Il set di caratteri del nostro blog non permette l’inserimento delle lettere dell’alfabeto messapico pertanto “Ω” e “q” sostituiscono rispettivamente la lettera maiuscola e minuscola corrispondente al messapico messapico. Tale lettera si scrive con una barretta verticale sovrastata da un cerchio.
- Alfabeto Messapico, incorniciata in rosso la corrispondente lettera “q”