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Creato il 19 giugno 2015 da Malvino

ad A. F.  Anche se analgesici e antispastici sono riusciti ad attenuare in modo rilevante quello che in epoche passate fu vissuto dal paziente come un atroce supplizio che spesso si protraeva per giorni e giorni, quasi sempre accompagnato da gravi complicanze non di rado letali, lostruzione di un tratto delle vie urinarie causata da un calcolo rimane esperienza altamente drammatica, e tutto poi per cosa? Per un sassolino.
Non c’è bisogno di aver letto Duby, Bloch, Le Goff e Baltrusaitis per farsi un’idea di come dovesse essere elaborato, sul piano emozionale, un episodio clinico del genere nel Medioevo, né dunque dovrebbe risultare così avventata l’ipotesi che l’invenzione della «pietra della follia», il sassolino che si riteneva fosse la causa delle sofferenze dei malati di mente e che si pensava fosse possibile rimuovere dal loro cranio per portarli così a sicura guarigione, nasca in quel periodo storico per inferenza analogica con la calcolosi: la pazzia come colica cerebrale. Cè, invece, chi davanti alla «Estrazione della pietra della follia» di Hieronymus Bosch sparacchia, e non riesco a capacitarmi donde tragga tanta certezza, che lidea di un sassolino responsabile della pazzia nascerebbe per inferenza antitetica con la «pietra filosofale», alla quale, tra le numerose altre virtù, era attribuita quella di conferire il sommo sapere e il perfetto intelletto. Non ha importanza chi lo sostenga, ha importanza mettere a confronto le due ipotesi, l’una avanzata da un autorevole accademico, l’altra da un imbecille qualsiasi, che poi sarei io. 

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