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Non è possibile in Italia fare un referendum per scegliere i musicisti jazz più popolari. Sono queste le conclusioni alle quali è arrivata “Musica Jazz”, la rivista di Giancarlo Testoni e Arrigo Polillo, che aveva preso un’iniziativa in questo senso, sull’esempio di quanto fanno da molti anni i periodici jazzistici di tutto il mondo.La ragione del fallimento del referendum italiano è molto semplice: le schede truccate o comunque irregolari inviate dai partecipanti. Nelle schede bisognava votare sia per i musicisti italiani, sia per quelli stranieri. Inoltre, bisognava rispondere ad alcune domande. Una di queste era: “Da quanto tempo leggete la nostra rivista?” Molti hanno risposto che la leggono da trent’anni o più, mentre “Musica Jazz” è uscita per la prima volta 19 anni fa. Si sono viste poi dozzine di schede riempite chiaramente dalla stessa mano, e altre che, mentre rivelavano predilezioni piuttosto bizzarre per determinati musicisti italiani magari poco noti, sembravano indicare uno scarso bagaglio di informazioni jazzistiche nella parte riguardante i musicisti stranieri i cui nomi erano orribilmente storpiati.Qualcuno, insomma, ha cercato di procurarsi un quarto d’ora di celebrità votando per se stesso, o pregando gli amici di farlo. Il lato più curioso dell’operazione è dato dalle notevoli spese postali affrontate e dall’ingenuità di chi non ha pensato a quanto sarebbe stato facile scoprire la falsità di una scheda in cui, per esempio, la pianista Mary Lou Williams era indicata come un complesso vocale. Il risultato è stato questo: che la rivista milanese ha potuto prendere in considerazione soltanto quelle schede in cui erano espresse preferenze per i musicisti stranieri.
Dixie
(“L’Espresso” – 10 novembre 1963)
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