Con la manifestazione "Linea rossa di Sarajevo" la capitale della Bosnia Erzegovina celebra il ventennale dell'assedio della città vittima dell'agressione serba negli anni Novanta. 11.541 sedie rosse in segno di memoria dei cittadini di Sarajevo uccisi durante l'assedio della citta'. Il programma della manifestazione e' composto da poesie e pezzi musicali con le performance di diversi artisti nonche' del coro di 750 alievi delle scuole elementari e superiori di Sarajevo. L'autore e regista di questo grande progetto, Haris Pašović ha sottolineato durante la presentazione in vista della manifestazione che la sua idea e' nata come desiderio di organizzare un concerto per le oltre 11.000 vittime di Sarajevo. "Le sedie allestite lungo la via di Tito in lunghezza di 800 metri rimarranno vuote tutto il 6 aprile e durante il programma perche' queste persone sono state uccise durante l'assedio e quindi impedite ad essere presenti alla manifestazione. Erano i civili ed i difensori di Sarajevo" ha detto Pašović. Sara' eseguito il grande oratorio postmoderno, creato dal congiungimento di 14 composizioni. Il sindaco di Sarajevo Alija Behmen sottolinea la necessita' di marcare l'uccisione dei concittadini durante l'assedio, ritenendo che questo progetto sara' anche un monito alla distruzione generale e una memoria in particolare alla distruzione di ogni singolo individuo che si e' trovato nell'assedio.
Lo scorso 25 marzo Remy Ourdan, corrispondente di guerra del giornale francese 'Le Monde' ha pubblicato il testo "Sarajevo: le armi taciono, ma le divisioni restano". Il testo riguarda il ventennale dell'inizio dell'assedio di Sarajevo. Ourdan scrive che "vent'anni fa, la citta' esplose, nel vero senso della parola. I cecchini serbi di Radovan Karadžić avevano aperto il fuoco il 5 aprile 1992 contro i cittadini di Sarajevo i quali protestarono portando bandiere jugoslave e foto di Tito credendo ancora che i nazionalismi, quelli serbi ed altri, si sarebbero fermati alle porte della Sarajevo multietnica e tollerante. La guerra iniziera' ufficialmente il 6 aprile e l'assedio di Sarejevo il due maggio quando i bersaglieri di Ratko Mladić (allora comandante dell'esercito serbo in Bosnia) attaccarono le linee ferroviarie e di tram e quando i militari serbi circondarono la citta'. La guerra duro' tre anni e mezzo e si porto' via oltre 100.000 vite. L'assedio di Sarajevo, il piu' lungo nella storia, duro' 1.395 giorni. Nella capitale bosniaca morirono 11.541 persone". "Dalla fine della guerra, Sarajevo sta' curando le sue ferite", prosegue nel suo testo il giornalista di 'Le Monde' e sottolinea che questo non e' per niente facile in un paese paralizzato dall'accordo di pace firmato nel 1995 a Dayton e contenuto nella Costituzione che aveva ufficializzato la divisione etnica. "E non e' facile in un paese che soffre di una crisi economica piu' aspra rispetto al resto dell'Europa, dove la gente e' maggiormente senza lavoro, sia che si tratti dei veterani di guerra di 45 anni oppure di venticinquenni che hanno appena terminato gli studi all'universita'".
La Bosnia Erzegovina continua ad essere divisa secondo le decisioni dell'Accordo di Dayton. E' composta, come sappiamo, da due entita', la Federazione di Bosnia Erzegovina, a maggioranza croato-bosgnacca, e la Republika Srpska, l'entita' a maggioranza serba fonte di molte contestazioni e minacce di separazione. Non c'e' comunque nessun accordo visibile e rassicurante tra i tre popoli costituenti: quello bosgnacco musulmano, quello serbo e quello croato. La divisione continua e gli argomenti etnico religiosi continuano ad essere fonte di questa insormontabile divisione. Ci e' voluto ben oltre un anno fino alla formazione di un governo di coalizione. Ma soprattutto nella RS resta dominante la retorica nazionalista e separatista che cerca e spesso trova appoggio nella vicina Serbia. Cosi' il leader della RS, Milorad Dodik non ha nessun problema o rimorso quando dichiara che Belgrado e' anche la capitale dei serbi della Bosnia. La vicina Croazia, con il nuovo governo di Zoran Milanović ma anche con la presidenza di Ivo Josipović ribadisce che la Bosnia Erzegovina deve essere la patria dei tre popoli costituenti con pari diritti e che il loro futuro deve essere il futuro in un paese unito, incamminato verso l'Europa e deciso ad effettuare le necessarie riforme.
Questa trasmissione cade proprio alla vigilia dell'anniversario di quel tragico 6 aprile e sicuramente se ne parlera' ancora in questi giorni e saranno in molti a ricordarselo. Ma si parla e si ipotizzera' ancora di piu' di quello che potrebbero essere i futuri scenari di questo paese cosi' fragile e con molte questioni irrisolte.
I risultati di una recentissima analisi effettuata dalla fondazione "Fridcrich Ebert" parlano di cinque possibili scenari di eventi fino al 2025 in Bosnia. Si tratta di diverse opzioni: dal mantenimento dello stato attuale fino all'istituzione di uno stato funzionante o perfino della completa disgregazione. Il capo della sezione bosniaca di questa fondazione tedesca, Paul Pasch ha dichiarato lunedi' a Sarajevo che grazie alle analisi in cui hanno preso parte venti persone del mondo politico, economico, dei media nonche' di altri settori pubblici in Bosnia Erzegovina, all'opinione pubblica sono presentati cinque possibili scenari relativi al futuro del Paese. "La crisi economica globale ha colpito con tutta la forza la Bosnia che anche finora soffriva di una situazione sociale ed economica difficile. Oggi prevale il blocco politico" ha detto Pasch aggiungendo che per questo e' arrivato l'ultimo momento per attuare le riforme costituzionali ed altre affinche' si possano realizzare gli sforzi per l'adesione all'Ue.
Un po' simile al modello "Mont Fleur" che questa fondazione aveva gia' sperimentato seguendo la transizione della Repubblica Sudafricana dall'apartheid alla democrazia all'inizio degli anni novanta, adesso per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina vengono offerti cinque possibili scenari.
Il primo prevede il mantenimento di uno status quo vale a dire l'attuale ordinamento complicato della Bosnia. In questo senso, secondo le valutazioni, entro il 2025 si potrebbe sperare appena ad uno status candidato per l'adesione all'Ue mentre tutti gli altri paesi della regione ne farebbero gia' parte. Lo secondo scenario prevede invece l'istituzione di uno stato decentralizzato funzionante il quale sarebbe fattibile dopo l'attuazione delle riforme costituzionali con il sostegno della comunita' internazionale. In tal caso la Bosnia potrebbe contare con il pieno ingresso nell'Ue perche' diventerebbe uno stato di diritto con crescita economica. Il terzo possibile scenario secondo la fondazione, sarebbe quello sotto il titolo "stato centralizzato funzionante" che altrettanto vede la Bosnia come membro dell'Ue nel 2025. Questo modello si svilupperebbe pero' dopo gli eventi drammatici nella meta' di questo decennio. Dopo conflitti violenti interni, la comunita' internazionale interverrebbe militarmente e politicamente e rafforzerebbe gli organi centrali del potere semplificando il processo decisionale il che garantirebbe anche l'attuazione di tutte le riforme necessarie. Secondo il quarto scenario vi sarebbe "un nuovo collegamento regionale" il quale prevede il suo ingresso nell'Ue sempre nel 2025 ma precedente vi sarebbe un maggiore collegamento politico ed economico di tutti i paesi dei Balcani occidentali dopo il rifiuto di tutte le ideologie nazionalistiche che finora hanno portato alle divisioni. Questo nuovo collegamento acconsentirebbe un rafforzamento del processo di eurointegrazione della Bosnia Erzegovina. Il quinto tra questi scenari ed il peggiore prevede al contrario che il Paese entro il 2025 non esisterebbe piu' mentre membri dell'Ue potrebbero diventare eventualmente i tre stati etnici formatisi sulle rovine di questo paese dopo nuovi conflitti armati. Questo scenario prevede l'intervento militare e politico della comunita' internazionale ma con la conoscenza che la Bosnia non puo' sopravvivere e che la soluzione migliore sarebbe quella di dividerla in tre parti.
Il direttore del dipartimento per l'Ue presso il ministero degli Esteri, Amer Kapetanović, il quale e' stato uno degli esperti che avevano elaborato i possibili scenari, ritiene che l'ultima delle proposte-previsioni e' comunque la meno probabile. Secondo le sue parole, l'obiettivo di questo studio era quello di sollecitare un dibattito piu' allargato nella societa' per esaminare dove potrebbe condurre l'attuale situazione e quale sarebbe l'obiettivo per il quale bisognerebbe impegnarsi in tempo. "L'importante e' che e' stato constatato che la comunita' internazionale deve avere un ruolo chiave in tutti questi scenari" ha detto Kapetanović.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata odierna di Passaggio a Sud Es