Il cinema Mexico di Milano, di solito, ha l’occhio lungo per i film indipendenti, realmente indipendenti, che magari faticano a trovare una distribuzione anche nel loro paese d’origine, ma che hanno portato alta proprio quella bandiera in giro per i festival del vecchio e/o del nuovo continente. 2 volte genitori è uno di questi esemplari, transitati per la sala di Via Savona 57 celebre soprattutto per il suo legame con il Rocky Horror Picture Show. Ultimato nel 2009, è stato riconosciuto miglior documentario a: Milano, 23° Festival Mix; Valladolid, Festival Cinhomo, 2010; Bruxelles, Festival Gay & Lesbien de Belgique, 2011; Zurigo, Festival Pink Apple; Amburgo, Lesbich Schwule Filmtage, 2011; Asti, Asti Film Festival. E che cos’ha di tanto speciale, per essere stato accolto a braccia aperte in luoghi dalla cultura così diversa? Per essere ancora in circolazione – tramite passaparola e al di fuori di circuiti mainstream, s’intende, ma è comunque un segno di vitalità – a cinque anni dalla sua produzione?
2 volte genitori racconta un viaggio, geografico e interiore, di tanti genitori davanti a un interrogativo che li schiaccia: come comportarsi quando il proprio figlio o la propria figlia confessano loro di essere gay? Le immagini, girate nell’arco di alcuni anni, documentano le sedute di un gruppo di persone (che fanno parte dell’AGEDO, Associazione Genitori di Omosessuali) moderato dalla psicologa Lucia Bonuccelli e del formatore Francesco Pivetta. Madri e padri impreparati ad affrontare il coming out dei figli, che hanno però conservato quel briciolo di lucidità per capire che avevano bisogno di aiuto. Le loro esperienze sono contraddistinte da sentimenti comuni e pregiudizi altrettanto diffusi, perché l’educazione che riceviamo fin da bambini è purtroppo tanto simile quanto retriva, ingessata nel tramandare stereotipi sociali attraverso le istituzioni scolastiche e religiose che faticano a comprendere profondamente il mondo in cui sono immerse. Dove ho sbagliato, si chiede un padre. Oppure cos’ha lui che non va, o ancora una madre si domanda perché una gemella è etero e l’altra è lesbica, se condividono il patrimonio genetico. Guardando il bicchiere mezzo pieno, però, il dialogo – seppure in una fase iniziale sia litigio e incomprensione – è già un buon punto di partenza. Tante sono le famiglie in cui l’argomento è tabù e i figli non possono esprimersi, e la diffusione di video virali sui social network ha solo reso più noto al pubblico un fenomeno che esiste da sempre. Se pensiamo che solo trent’anni fa l’omosessualità era ancora considerata – non da un manipolo di incolti, ma dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – una malattia mentale, e se ci sono ancora Paesi in cui è considerata un reato (in altri luoghi “civili” è creduta solo una scelta discutibile e disgustosa e non sanzionabile, ma i diritti civili e sociali di un gay non sono ancora equiparabili a quelli di un eterosessuale) capiamo che dobbiamo lavorare tanto perché si diffonda una cultura della differenza come arricchimento, e non come minaccia.
2 volte genitori comincia a essere adottato da alcune scuole come introduzione a una formazione sul tema, ma non basta: siamo ancora tutti convinti che il Gay pride sia solo un raduno di pervertiti, perché è quello che fa notizia. In quanti sappiamo, invece, che da una ventina d’anni esiste l’AGEDO e che tantissimi genitori manifestano insieme ai figli, sperando che un giorno anche le migliaia di giovani che marciano possano confessarsi senza timore di essere rifiutati?
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