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20 domande chiave per il de-briefing post evento

Creato il 15 gennaio 2014 da Sdemetz @stedem

20Come si fa a capire se un evento è andato bene o male?

La domanda sembra banale, ma non lo è.

Pesco un esempio dalle tante discussioni sui festival culturali in Italia. Il fatto che riempiano le piazze vuol dire che hanno successo, o il successo va misurato in altro modo? Bastano i numeri dei biglietti strappati, dell’alto numero di esposizioni o relatori, delle camere vendute e dei parcheggi pieni per dire che è andata bene?

Io penso di no. Se ci fermassimo solo a questo, rischieremmo di avere un feed-back finale fuorviante. Per capire davvero se le cose sono andate bene o male, bisogna partire dal principio. Per un evento, inoltre, molto spesso, bisogna aspettare anni per capire se il successo è stato reale.

Provocatoriamente mi chiedo: le Olimpiadi di Atene, che hanno avuto immagini splendide, pubblico appassionato, competizioni emozionanti sono state un successo? Oggi, si direbbe di no, perché ciò che hanno lasciato al paese sono debiti e infrastrutture arrugginite e vuote.

Qualsiasi evento dovrebbe avere un de-briefing serio e, a seconda della dimensione, il tempo dedicato alle analisi post evento dovrebbe proporzionalmente dilatarsi. Valutare solo il “qui e ora” nei mega eventi – che io definisco one shot –  è riduttivo e rischia di far commettere sempre gli stessi errori, anche a quelli che verranno dopo.
Negli eventi ricorrenti, invece, la fase di analisi è già una forma di progettazione per l’edizione successiva. Basta farsi le domande giuste e guardare al passato (definizione delle strategie) e al futuro (obiettivi).

Da alcuni anni, io seguo un catalogo di domande, che ho acquisito dagli strumenti del management di Fredmund Malik, professore e consulente in Svizzera. L’ho adattato alle mie esigenze e lo sottopongo ai collaboratori o lo uso come mia guida, sia per indirizzare la loro analisi, sia per analizzare me stessa, il mio ruolo e la mia efficacia.

Le domande si suddividono in quattro sezioni. È come un guardare l’evento girandoci intorno, con prospettive e occhiali diversi. È davvero una bussola per orientarsi. Come dire: prima si analizzano i pezzi di un puzzle e poi il puzzle intero.

Ecco in sintesi come funziona.

Obiettivi

Prima di ogni analisi, è importante tornare sugli obiettivi. Se non so cosa volevo raggiungere, come faccio a dire se è andata bene?

1. Quale era l’obiettivo del mio settore?
2. È stato raggiunto?

Ogni settore ha uno scopo e un obiettivo. Prendiamo ad esempio il settore “viabilità”: lo scopo è gestire il traffico, l’obiettivo può essere ridurre il numero di automobili presenti, oppure, creare aree pedonali e così via.

3. Se non è stato raggiunto l’obiettivo, perché?
4. Non era realistico?
5. Forse non mi sono spiegato bene con i collaboratori?

I perché aiutano a crescere. Sono famosi i 5 perché della Toyota. Ecco: il mio consiglio è di non fermarsi al primo perché, ma andare davvero fino in fondo.

La comunicazione con i collaboratori è altresì importante, soprattutto quando si tratta di volontari. Chiedersi se si è stati chiari, è centrale nella comprensione degli errori. La responsabilità è sempre nostra, non loro.

6. Quale lezione traggo da questa esperienza?

Questa è una domanda personale, che non pongo mai agli altri, ma che rivolgo a me stessa. Trovo che sia importante scrivere la risposta ed essere giudici di sé. È un appunto privato nel quale possiamo dire cose che rimangono a noi: “non comunico bene”, “tratto male la gente”, voglio sempre strafare”, “devo fare più attenzione nella pianificazione”, “da solo o da sola non posso gestire tutto, ho bisogno di aiuto”. Io almeno faccio cosi, e quando poi la macchina operativa riparte, mi vado a rileggere questa specie di diario personale. E mi aiuta sempre. Anche perché solo nello scrivere e nel riconoscere anche le mie debolezze, mi libero di un peso.

7. Cosa va cambiato?
8. Cosa va mantenuto?
9. Cosa va eliminato?

La terza di queste tre domande è la più difficile. Facciamo davvero fatica a rinunciare a qualcosa, a mettere in cantina oggetti che ci appartengono. Ma talvolta è necessario. Eliminare e fare ordine e pulizia fa semplicemente stare meglio. Come quando si svuotano gli armadi. Certe giacche proprio no le vorremmo buttare anche se è da una vita che non le usiamo, ma poi, quando abbiamo il coraggio di farlo, ci sentiamo più leggeri. Tutto ciò che è vecchio e che non viene buttato si incrosta da qualche parte nella nostra testa e – anche se lo teniamo “in sonno” – è una zavorra che ci trasciniamo dietro. Dentro un’organizzazione queste zavorre possono essere pericolose, oltre che costose.

Budget

10. Dove ho speso troppo?
11. Perché?

12. Dove ho risparmiato?
13. Perché?

Queste due sezioni vanno affrontate avendo bene in testa gli obiettivi. Il budget, prima che una tabella di costi e ricavi, è un documento strategico, che riflette nei numeri gli scopi e gli obiettivi. Il troppo dipende dagli obiettivi. Il risparmio, invece, aiuta a identificare nuove forme di gestioni di costi, ma anche possibili criticità: “Abbiamo risparmiato nei parcheggiatori, ma i parcheggi erano un caos”.

Collaboratori

14. I miei collaboratori rendono bene o male?
15. Hanno raggiunto il risultato?
16. Dove sono bravi?
17. Dove sono deboli?
18. Come posso valorizzarne le qualità?

Questo blocco di domande è spesso insidioso. Soprattutto, lo ripeto, se si lavora con i volontari. Capita, infatti, di avere persone appassionate, ma pasticcione. Anche se a malincuore, bisogna essere obiettivi e severi, per lo meno nella fase di analisi. Per una donna, forse è più difficile, perché talvolta un eccesso di empatia ci porta a proteggere troppo le persone coinvolte. L’empatia va bene dopo, ma qui le criticità, gli aspetti negativi vanno evidenziati in modo crudo.

Non è, inoltre, solo una questione di qualità, di debolezze, ma anche di umori, di senso di appartenenza, di capacità di relazionarsi con gli altri. Sono domande importanti che hanno soprattutto a che fare con il futuro. È nella forza dei collaboratori che si trovano le risorse per crescere, soprattutto negli eventi, che si alimentano grazie alle relazioni tra persone.

Generale

19. Dove è forte il mio settore?
20. Dove è debole?

Dentro questo blocco entriamo noi come capi settore, ma anche, di nuovo, come giudici esterni. Sono due domande semplici, ma cruciali, perché hanno a che fare con le persone, gli scopi, la strategia, la crescita reale di un organizzazione.

Il puzzle finale

E poi, che succede? Beh, poi tutto questo va elaborato. Ognuno ha i propri metodi. Io uso quello del distacco. Non mi metto subito a lavorare, ma prendo tempo.
Mi rileggo tutti i de-briefing, gli appunti, il mio diario. E poi li lascio lì. In una cartella. E vado a camminare. O a vedermi delle mostre. Oppure leggo libri lontani anni luce dal mio mestiere. Lascio che tutte queste informazioni e questi pezzetti di un puzzle trovino il proprio tempo per ricomporsi. Le risposte poi arrivano. A volte sono dolorose, perché dicono che c’è molta roba da buttare, a volte invece sono invitanti, perché mostrano un disegno di come sarà o potrà essere il prossimo evento.
E allora, si passa alla fase successiva. Mi rimbocco le maniche e inizio a pianificare.

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