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20 sigarette, il tempo della vita

Creato il 10 ottobre 2011 da Stezizzi

La fabbrica dei sogni che si scontra con la realtà. La tragedia, la morte, la vita. Un’intermittenza di ricordi e pensieri che si accavallano nella mente. Un eroe antieroico, una retorica antitretorica. La strage di Nassirya, vissuta in prima persona da Aureliano Amadei, è raccontata nel docufilm 20 sigarette con l’intensità di chi ha scandito il tempo della morte attimo per attimo, in un susseguirsi di emozioni impetuose e indecifrate.

Una storia scritta dallo stesso Amadei insieme a Francesco Trento nel libro Venti sigarette a Nassirya, pubblicato da Einaudi. Una storia che è diventata un film con una sceneggiatura scritta a quattro mani: gli stessi Aureliano Amadei e Francesco Trento insieme a Gianni Romoli e Volfango De Biasi.

Ho avuto il piacere di chiacchierare con Volfango De Biasi, un regista e sceneggiatore che si è fatto conoscere al grande pubblico per il successo commerciale di Come tu mi vuoi, ma che ha alle spalle molte esperienze alla direzione di cortometraggi e documentari tra i quali Matti per il calcio (2006).

Ho chiesto a Volfango alcune curiosità personali relative al progetto cinematografico di 20 sigarette e, in particolare, qual è per lui il concetto di LUSSO, in quanto valore dello storytelling, nella stesura di una sceneggiatura. La risposta è stata immediata: CULTURA. Perché scrivere, costruire dei personaggi, inserire citazioni al momento giusto, sviluppare una storia capace di trasmettere emozioni o qualsivoglia messaggio, è soprattutto questione di cultura. E la cultura, sottolinea Volfango, è ciò che più manca al cinema italiano attuale. Cultura intesa soprattutto come libertà di contenuti e forme espressive del linguaggio cinematografico.

Lavorare con un amico che ha realmente vissuto la tragedia per sviscerare quello che è accaduto” è stata la difficoltà maggiore incontrata nello scrivere la sceneggiatura di 20 sigarette, dice Volfango De Biasi. Una difficoltà maggiore se si pensa anche al racconto “in soggettiva”, dove lo stato caotico dei pensieri del protagonista è volto a far vivere allo spettatore lo stesso sentimento di smarrimento e mancanza di lucidità mentale che si prova nel momento di maggior terrore. Quel momento che è un “frullatore della vita e della morte“, come lo definisce Aureliano Amadei.

20 sigarette resta un film dove l’oggettività di una tragedia è raccontata da un punto di vista personale, affrontando sapientemente il contenuto drammatico con un registro più leggero di un classico documentario e per questo anche più accessibile ad un pubblico più vasto.

Mi chiedo se quella cultura di cui parla Volfango De Biasi, ma anche l’informazione trasparente su queste tematiche, potranno mai diventare in Italia un fenomeno di massa veicolato dal cinema e dai media. Un giorno forse, chissà. Mi prendo il lusso di sperarlo.


Filed under: Cinema, Libri

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