Ultimamente mi imbatto tantissimo in romanzi d’esordienti o di selfpublishing. Un po’ me la vado a cercare, un po’ mi ci ritrovo in mezzo, un po’ ho la casella mail colma di autopromozione e pubblicità (o assillante spam, in alcuni casi…).
E leggi una trama, e leggine due, e leggine tre, quattro, cinque, venti, trenta, quaranta… mi sono accorta di una cosa. Ossia il fatto che una grandissima fetta di questi scritti non sono ambientati OGGI.
Per carità, potrà essere una coincidenza: per qualche combinazione astrale la maggior parte dei romanzi di autori amatoriali – esordienti – self – chedirsivoglia che incontro scrivono storie ambientate nel passato.
Sono molto fashion gli anni del fascismo. Al secondo posto gli anni Sessanta. Al terzo vicende che potrebbero essere di qualsiasi anno, epoca, esistenza e invece, chissà chissà perché, sono ambientate in qualche anno tra il 1945 e il 1990. Se sono ambientate dopo il 1990, sono allora collocate sicuramente in un presente apocalittico o in un futuro distopico, di solito con trame e scenari creati con lo stampino.
Confesso: a me non intrigano molto. Sarà un mio limite, ma per quanto il passato e la storia mi abbiano sempre interessata e li abbia ricercati nella narrativa molto spesso, oggi cerco il racconto dell’oggi. Senza la parte dell’Apocalissi e della distopia. E forse pure l’editoria tradizionale non è poi molto interessata (oppure cerca direttamente racconti di fanciulle in gonnella ottocentesca), dato che stiamo comunque parlando di opere non accolte a braccia aperte e che hanno cercato strade alternative.
Gli autori sono nella metà dei casi di una nostalgica mezza età che li porta a scrivere come se fossero giunti al termine della loro vita e stessero tessendo le fila delle proprie memorie.
L’altra metà è composta da giovanissimi autori che probabilmente hanno trascorso troppi weekend a fare ricerche per scrivere storie ambientate in un tempo e una realtà che non hanno mai conosciuto.
Forse sarà una coincidenza, in realtà li incrocio tutti io, eppure io alle coincidenze non ci credo molto. Soprattutto quando perdurano per alcuni mesi.
E allora qualche domanda me la pongo.
La prima è maliziosa: è forse comune l’idea che per scrivere qualcosa di originale bisogna andare a ripescare anni del passato? La normalità, l’oggi, il quotidiano non può essere stupefacente?
La seconda è una riflessione: è forse più facile scrivere del dramma accertato di guerre o delle tensioni più o meno risolte di generazioni passate, che quelli confusi di oggi? Perché in particolare un giovane cerca tra le carte, tra le date, storie da raccontare, invece che affacciarsi alla finestra e guardare in strada… e scoprire l’intricata e anormale normalità che passa davanti agli occhi?