Il mercato quindi si sta polarizzando, sul lato dell’offerta, in una grande divisione dei proprietari in veditori e non-venditori. I venditori sono coloro che hanno una reale motivazione alla vendita, adeguano la richiesta di prezzo (asking price) ai valori correnti di mercato, e vendono. I non-venditori sono invece quei proprietari che, non avendo reale volontà di vendere, fanno una richiesta vicina al picco dei prezzi del 2007 e (ovviamente) non vendono, lasciando il loro immobile parcheggiato sul mercato ma in realtà fuori mercato, come quelle auto abbandonate nei prati di periferia.
IL DISINCANTO DEI NUMERI ALL' INTERNO DI UNA BOLLA
Lasciando il campo dei forse, se e ma, la scelta che hanno oggi i prorpietari non è tra vendere e svendere, ma tra vendere e non-vendere: e se ne stanno accorgendo, tra gli altri, anche il Comune di Bergamo e Infrastrutture lombarde che non riescono a vendere l’area degli Ospedali Riuniti nonostante il secondo esperimento d’asta. Anche qui è riecheggiato il mantra-nonsense “non vogliamo svendere”. Anche qui, se non si vuole adeguare il prezzo di richiesta al prezzo di mercato corrente, l’alternativa è non-vendere, e ripensare l’area destinandola ad una funzione pubblica (trovando i soldi per riqualificarla e rilanciarla). Sul lato della domanda invece resta come un grande classico nazionalpopolare l’incrollabile voglia di casa degli italiani. Qui la polarizzazione è tra chi ha i soldi e chi non li ha. Le banche infatti hanno stretto i cordoni della borsa e solo 5 richieste di mutuo su 100 vanno a buon fine, per lo più con un rapporto mutuo/prezzo che non supera il 50-60% (contro l’80-100% degli anni pre-crisi). Di conseguenza la liquidità oggi è preziosa e chi ha liquidità e solvibiità bancaria può spuntare ottime trattative, impensabili fino a un paio di anni fa.
Qual è la buona notizia? Sono addirittura tre.
1) L’immobiliare non è un gioco speculativo ma un cassetto salvadanaio, che sul medio periodo (10-15 anni) paga più degli altri investimenti come tutela del risparmio e rivalutazione del capitale.
2) L’immobiliare frutta inoltre un reddito ragguardevole (nel residenziale il 5% medio sul capitale) sia che lo si dia in affitto sia in caso di uso diretto, dove il reddito è rappresentato dal risparmio dell’affitto che il proprietario non paga a qualcun altro. Nel 2012 abbiamo assistito ad un calo sia dei prezzi di vendita che dei canoni di locazione, ma questi ultimi in proporzione sono scesi meno, perciò il reddito da locazione è in fase di incremento.
3) La discesa dei prezzi può lentamente far ricominciare a vendere le case. Se le aspettative dei proprietari si ridimensionano fino ad incontrare la capacità di spesa dei potenziali acquirenti, infatti, l’affare si chiude perché in Italia e a Bergamo in particolare la voglia di casa non diminuisce mai. E mai come oggi c’è bisogno di mediazione e gestione della trattativa. Oggi abbiamo un gap medio del 20% tra prezzo di richiesta e reale venduto, quindi un buon agente immobiliare, che è un mediatore professionale, può fare la differenza tra vendere e non vendere.Il ridimensionamento del prezzo di richiesta o asking price, se applicato sistematicamente sullo stock di invenduto, dovrebbe portare ad un aumento delle compravendite (oggi sono la metà del 2006), risanando un comparto economico così importante per il nostro PIL nazionale, di cui rappresenta il 15-20%. Un settore strategico, oggi scompensato dallo scollamento tra le aspettative dei proprietari-venditori e il potere d’acquisto degli acquirenti-consumatori.In Italia, con la nostra storia, l’architettura, l’urbanistica e la civiltà dell’abitare non abbiamo alternativa al mattone: tanto vale farlo funzionare, e prima lo capiamo meglio è.
di Giuliano Olivati Fiaip Bergamo 7 luglio 2013