2013: la fuga da Facebook dei fashion community manager

Da Giovak86 @giovak86

Due anni fa abbiamo chiesto ai maggiori influencer italiani quali fossero le migliori campagne digital nel settore moda: le risposte sono state multiformi, ma con una sola certezza. Facebook è stato il pilastro che ha indirizzato strategie e investimenti negli ultimi due anni.

Facebook è cambiato, in peggio

Oggi, nel 2013, lo scenario è cambiato profondamente. Dopo che tutte le maison hanno investito cifre cospicue per creare sostanziose community su Facebook, i cambiamenti nell’algoritmo del social network (meglio conosciuto come EdgeRank) hanno reso questi utenti completamente sordi ai messaggi pubblicati. L’azienda di Mark Zuckenberg sostiene che, oggi, circa il 16% dei fan delle nostre pagine legge realmente quello che pubblichiamo (le cifre reali possono essere anche molto più contenute, vicino allo 0,5%). Era il 75%, prima che Facebook si quotasse in borsa. La situazione è questa: brand come Gucci, Prada, Armani si trovano con milioni di fan, accumulati a suon di campagne pubblicitarie (costo medio di acquisizione: 90 centesimi di euro l’uno), dei quali solo pochi vedono realmente i contenuti che l’azienda produce e pubblica.

Ecco come sono cresciute le pagine Facebook dei tre brand menzionati:

Ed ecco come è calato il numero di fan raggiunti nel corso del 2012:

Alcuni osservatori, tra cui il Guardian, sono arrivati a ipotizzare una fuga da Facebook. L’allarmismo sembra esagerato, eppure questi primi segnali di fatica nei confronti di Facebook stanno già avendo i primi risultati sull’agenda degli uffici marketing. Cosa fare con milioni di fan, poco reattivi, poco raggiungibili (se non tramite advertising), poco profilabili? Un’opzione è la profilazione dei fan tramite software di terze parti o tramite Facebook connect, che permettono di accedere ai dati completi dell’utente, in modo da creare sinergie significative tra Facebook fan e CRM aziendale.

Oltre i due social network, molti social network

Un’altra tendenza in atto è sicuramente la frammentazione, sempre più spinta, dell’attenzione degli utenti, in preda a nuovi – e sempre diversi – social network. Basta guardare l’intestazione del nuovo sito di Dolce & Gabbana, che chiedono agli utenti di seguirli su tredici (tredici!) piattaforme social, sistemi di blogging et similia.

Frammentazione dei canali significa anche frammentazione dei contenuti: ciò che funziona su Facebook non è, automaticamente, adatto per Instagram o per Pinterest. Nel corso dell’ultimo anno, il numero di tweet collegati all’ambito fashion è raddoppiato ed è ormai prassi condividere le nuove collezioni su Instagram. GettyImages, la maggiore banca dati di immagini mondiale, usa Instagram come fonte per ottenere fotografie dalle fashion week e il New York Times ha aperto un account Instagram specificamente dedicato alla moda (@nytimesfashion, ad oggi 320k follower).

A cosa può servire Instagram? Il brand di fast fashion Forever 21 lo capisce benissimo, e organizza 21 contest, uno al giorno per un mese, ottenendo feedback degni di nota.

Per quanto riguarda la condivisione dei video, mentre Burberry è stato il primo brand a utilizzare Instagram Video, Dolce & Gabbana hanno puntato su Vine.

Altre Internet, più remote

La frammentazione non è solo tecnologica: l’importanza economica di zone geografiche (come l’estremo oriente) in cui il panorama social è completamente diverso rende imprescindibile una strategia sui social network locali. Ne è un esempio il brand Coach, che ha pensato una campagna di e-cards appositamente per il capodanno cinese. La campagna è stata comunicata su tutti i social network cinesi rilevanti: Sina Weibo, Ren Ren e Jiepang spesso considerato il corrispondente asiatico di Foursquare.

Collaborative economy

L’ultimo trend degno di nota è quello evidenziato da Altimeter nell’ultimo report sul concetto di collaborative economy: stiamo assistendo alla diffusione di un modello economico basato sulla condivisione dei beni fisici. Pensiamo ad AirBnB (condivisione di appartamenti privati per le vacanze), oDesk (condivisione di scrivanie) o Uber, che permette trasformare la propria auto di lusso in un taxi. Ogni macchina condivisa tra più utenti, secondo Jeremiah Owyang di Altimeter, corrisponderebbe a 13 autovetture vendute in meno da parte dell’industria automobilistica.

Come si applica questo concetto alla moda? Siti come Bag Borrow or Steal permettono di prendere in prestito, a pagamento, le borse delle celebrity o più semplicemente delle borse di fascia alta. Lo stesso vale per Rent the Runway, una piattaforma per condividere abbigliamento d’alta moda. Come possono reagire le aziende a questa tendenza? Un caso paradigmatico è quello di Patagonia, che ha stretto una partenership con eBay per incentivare la vendita di capi usati, in modo da ridurre l’impatto ambientale complessivo.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :