Da bambina mi piaceva tantissimo: mi divertiva la preparazione del cenone, la presenza dei nonni e dei cugini, i fuochi dopo la mezzanotte, il brindisi, gli auguri, i biglietti della lotteria che mi regalava mia nonna, la colazione del giorno dopo con gli avanzi del cenone...
Da adolescente ho iniziato ad odiarlo, come tante altre cose. Odiavo la libertà che avevano i miei coetanei e che io, costretta a casa con i parenti, non avevo (e non ho tuttora). Odiavo il dover passare ore a preparare la cena, mentre i nostri invitati erano liberi e si presentavano a casa come se fossero al ristorante. Odiavo i discorsi dei miei parenti, la loro ironia nei confronti di cose che per me erano importanti, la loro mancanza di tatto e la presunzione di sapere come dovessi vivere.
Crescendo, fino ad oggi, i miei sentimenti nei confronti del Capodanno sono cambiati leggermente, ma non sono propriamente positivi. Non capisco la frenesia del festeggiamento a tutti i costi. Non capisco il cercare sempre di fare qualcosa di esagerato e di più appariscente rispetto agli altri, di cool, di unico. Non capisco di cosa dovrei essere felice. Non capisco i riti propiziatori e la superstizione che accompagnano i festeggiamenti. Non riesco nemmeno più a considerarla una piacevole festa famigliare come un tempo, forse perché non trovo nulla di piacevole nel pulire casa, prima e dopo, e cucinare per un'orda di persone la cui compagnia dovrò sopportare forzatamente per ore.
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