Ho trascorso la giornata della poesia in classe, con i miei bambini. Abbiamo letto la lettera che Anna Bergna ci ha inviato, dopo che i bambini le hanno regalato alcune variazioni intorno alle sue poesie.
Poi abbiamo disegnato le colombe di Picasso e le abbiamo usate come pretesto per scrivere.
Una bimba ha perso la nonna e mi ha chiesto se poteva dedicarle una sua poesia. Ormai scrivono tutti, anche quelli che ci hanno messo più tempo. Non do più neanche le consegne. Non è un compito la poesia, per loro, ma un desiderio. E’ fuori dai programmi, dalle valutazioni e, in fondo, è un modo per preservarla dall’ignoranza dei cattivi funzionari.
I miei bambini sono tutti poeti. Sono esseri migliori. Almeno finché staranno con me.
Che dire: sono uno sporco idealista, e persino orgoglioso e presuntuoso, ma le cose alte, se non sono interiori, mi infastidiscono.
Non amo i palchi e i palchetti. Mi basta già il peso della mia cattedra…ormai solo ideale, perché le cattedre di legno non esistono più; anzi, speso ci si vanno a sedere i bambini davanti alla mia cattedra e io nei loro banchi.
Esistono ormai poche motivazioni per me, a frequentare il variegato mondo della poesia: meglio qui, dentro un’aula, a trasmettere qualcosa di vero e di profondo, piuttosto che fare vetrina.
Chi andiamo a rappresentare leggendo? Una Nazione addirittura? L’Italia? Ma che risate!
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