Vigilia di Primavera
Eppure l’aspettiamo tutti gli anni
come l’approdo d’una promessa
vagheggiata nell’ombra fredda
delle stagioni morte;
come la gemma d’una speranza
di fede nella vita, tuttavia:
le piume d’un nido in attesa
sotto il tetto
il vento tiepido d’ Eostre
che rinasce
e semina di petali e di luce
le lande desolate dell’inverno
le uova fecondate degli uccelli
nell’ anfratto sicuro
d’una cavità d’albero
nella concavità salata d’uno scoglio
le ripe che s’accendono di giallo
negli spettinati grappoli
dei fiori di ginestra
il mare già cosparso sui fondali
del baluginio biancastro
delle posidonie
il cielo più alto e meno vuoto
di voli e di schiamazzi
acrobata sospeso
tra verità e mistero.
M.Gisella Catuogno
fotografia di Davide Simiele
Schivo è il silenzio del poeta quando s’avvia verso la parola, quando posa il capo sul petto della creazione per ascoltarne le voci e tramandarle di fiato in fiato, come il primo respiro ferito dall’aria e dall’aria reso vivo.
Abitanti di profondità il cui volto di cera s’arrende alla sua mano, vigila su somiglianze inconciliabili altrove, preceduto da silenzi e deliri, da vuoti e pienezze, contrasti appena contenuti nello spumeggiare del foglio su cui schiude parole che, come gocce d’ambra, contengono i fossili del disamore verso ciò che ci hanno insegnato ad essere e che è diverso da quanto è custodito sotto il moggio e arde poi sulla carta. Perché sul lucerniere è il cuore a confortare il timore che le parole non abbiano luogo, riparo, né ombre, ma che, governate da una luce pietosa e tiranna, possano mostrarsi solo in ciò che si cela nel rovescio delle cose, nell’aldilà del senso che postula l’impossibile per dimostrare che la metafora – anima di ciò che il significato tace – può guarire dall’ossimoro della vita. Eterni convalescenti trasmigrano di morte in morte alla ricerca dell’unica resurrezione possibile che sia un risveglio nella terra di Babele: per poi dire del fuoco dopo averlo attraversato, leggere nello sguardo delle cose dove si perde la propria vita e si trova quella delle radici ignare del furore che travaglia le cime. Ma la linfa sa dell’intero percorso dei dubbi, degli acerbi pensieri che scorrono nelle vene, là dove la verità a volte confonde l’effetto con la causa e inventa ciò che non c’è, scopre quello che c’è, sventa l’equivoco.
Sa che per l’inchiostro colato sulla pagina c’è lo schianto di prima, c’è la parola incarnita, c’è la secchezza delle labbra e la lingua lecca le dita stanche che ancora non sanno qual è il potere di ciò che vanno tracciando e ignorano la risposta alla domanda se sia più grande la cosa o la parola che la dice.
Lucianna Argentino
E suoneranno a distesa le campane
qualcuno chiederà chissà perché
ma già dalla lontana radura potrò
guardarvi con l’occhio della madre
mi prenderò cura degli spigoli acuti
dei sassi che avete sotto i piedi
sì allora sarò leggera e avrò mani
quante bastano per acconciarvi
come non ho saputo fare prima.
Fischierà il merlo sul corbezzolo
riderà di me come è giusto che sia
anch’io riderò per gli inutili affanni
che mi hanno spezzato il fiato
e un poco soltanto anche la mente
sarà bello circondarvi la vita
portarla dentro i girotondi nel mondo
che si fa chiaro di luce nel suo nocciolo
silenzioso di pace perché tacciono
i fucili e l’ottuso bailamme
che disconosce mio fratello morto
mia sorella storpiata e mio padre
estraneo a bocconi sopra un carro
e rideranno di voi miei cari amati
della mia terra ubertosa e gentile
spesso un po’ pacchiana ma sapete
la gente che accoglie sempre e ride
con tutti coltiva qualche vizio e resta
con l’uscio aperto a disposizione.
Suoneranno a distesa le campane
e dal corbezzolo fischierà il merlo
e sarò stata viva e vera e indolenzita
più lieve di una foglia cadere lieve.
Narda Fattori
Un tempo la tua ombra amica
camminava tra i grattaceli di questo mondo urbano
(mare scogli risacca, musica nelle mie orecchie)
Un tempo la tua ombra amica
balzava oltre il fuoco
approdava a questi paradisi
(fiumi, umidi anfratti cascate, musica nelle mie orecchie)
Poi i miei occhi divennero coscienti
le tue mani artigli acuminati
Aride le palpebre degli occhi
(dove sono le aquile?
spalmate su croccantini
e pastine mignon?)
Contorcendoti su radici e finzioni
mi facevi credere d’essere ancora
un pesce dal ventre lucido e fremente
un ramo ubriaco di fiori
un granello che sorride nel mare
Ma io guardavo l’orizzonte e il fondo
e non ascoltavo più il silenzio vuoto
della tua bocca
Marina Torossi Tevini
Dice
dice che oggi le cose sono procedute
per proclami di quello
che le spinge a essere Dice che
rinunciare le rende cattive
e non rinunciare le rende così vigliacche
da avvilirti di più
l’impotenza serve correnti
danza in vena mobilissima la sua luce
processa una furia oculata, un fittone
capace di raggiungere il cuore della terra
e toccarlo per avvelenarsi
senza scampo l’amore
è meno vivente, recede
la sua prudenza millimetrica
infondo a molte cose che non si sanno
e si riconoscono così sole da vedersi per prime
Viviana Scarinci
MALINCONIA, 1986
Eravamo d’accordo
Malinconia
di non incontrarci più.
Tornano
il languore che impedisce al cibo la via giusta;
mani che si attorcigliano;
camminata nella casa silenziosa;
sguardo dalla finestra.
Eravamo d’accordo
e mi hai tradita.
Sei tornata
insolente, arrogante e lasciva.
Eravamo d’accordo
a non scherzare.
Eravamo d’accordo
Malinconia
e mi stai colpendo, all’ improvviso.
Marta Ajò
Le poesie appartengono ai bambini
Le poesie appartengono ai bambini
Le plasmano fra le dita grassocce
come mollica di pane bagnato
Loro la poesia
la lasciano sui vetri come impronta
ed appiccicano alle cose i nomi
secondo fantasia
Nel sonno nasce un nuovo creato
ove le gocce non sono le gocce
ove la musica è una dolce conta
Una matita, due mele e tre gnomi
Bastano, avanzano e fanno poesia
Sara Ferraglia
Che scriva in rima o in arabeschi
affreschi damascati o macchiaioli
riflessioni profetiche o sapienziali
o imprechi contro la grettezza
o urli il dolore del mondo
o canti l’ebbrezza della gioia
che sia famoso o meno
di sicuro il poeta
non ha a cuore il portafoglio:
banche e librai non concedono fidi
alla poesia.
Sandra Palombo
SONO GLI ANNI DI INCENDIO
Sono gli anni di incendio,
la ipritica voce
( la definitiva, la mortale)
computa il criterio esatto
della consolazione,
scrive un pianto
- de le germinazioni piogene ,
i propri neri fiori
a gemmare,
e da tutte le gole dattorno…
15 Marzo 2013
VILLA DOMINICA BALBINOT