Due premesse: la prima è che ho amato da subito AMOUR di Hanecke, un film straziante ma poeticissimo, uno dei più grandi capolavori a cui abbia assistito nella mia vita. La seconda è che non ho assolutamente niente contro i vecchi malati: alzi la mano chi non ha avuto in famiglia un nonno (nel mio caso una nonna 90enne) ormai bisognoso di assistenza continua alla fine della sua vita – non per questo è stato trattato con meno tenerezza e rispetto. Ma qui francamente si esagera.
Il titolo originale arabo del film è AL-KOROUG LEI-NAHAR, lo stesso del Libro dei Morti degli antichi Egizi; e un’aria di morte domina la casa di Soad, alla periferia del Cairo.
Il film si svolge in un arco di 24 ore: inizia la mattina presto, quando la madre, infermiera di notte, rientra stanchissima dal lavoro e sveglia la figlia. Fanno colazione insieme e poi PER 40 INTERMINABILI MINUTI si prendono cura dell’anziano capo-famiglia, reduce da un ictus e completamente invalido. Lo sollevano dal letto, lo lavano, gli disinfettano IN PRIMISSIMO PIANO le piaghe da decubito, gli cambiano il pigiama, mettono in bucato le lenzuola zuppe d’urina, danno aria al materasso, rimettono a letto il poveretto – praticamente in tempo reale e battibeccando di continuo fra di loro. Dopo un po’, a interrompere la penosa routine, arriva un cugino militare in licenza. Ma si limita a pranzare a sbafo, senza quasi profferire parola.
Quando io e almeno metà del pubblico in sala stiamo per fare harakiri Soad litiga con la lagnosissima madre e decide di uscire: il padre è a letto, vada a riposarsi tranquilla, lei va a fare un giro in centro, in quella casa non ci resiste più. Ma tutto va storto. Va dal parrucchiere a farsi stirare i lunghi capelli ricci ma il risultato è insoddisfacente e se li lega di nuovo a coda. Durante il viaggio in taxi-bus ha una conversazione piuttosto sconclusionata (10 minuti senza capo né coda) con una ragazza maniaca religiosa, e alquanto fuori di testa, che ammorba i compagni di viaggio col racconto della matrigna che le avrebbe fatto una fattura, per quello non trova marito.
Telefona ad un ragazzo a cui tiene, ma lui la liquida: non si vedono da 5 mesi, non si è nemmeno sognato di aspettarla. Anche l’amica che vorrebbe andare a trovare si sbarazza di lei, è occupata. Depressissima, decide di prendere un altro taxi-bus e tornare a casa: ma è un abusivo, quando vede un posto di blocco della polizia la fa scendere in mezzo al nulla e scappa. Soad si mette in cerca di un rifugio per la notte e io, in cuor mio, stavo invocando l’arrivo di un qualche Ahmed-lo-Squartatore che ci liberasse tutti da questo strazio. Ma a questo punto, prodigiosamente, appare l’unica inquadratura davvero bella e poetica del film, quando all’alba Soad si sveglia (miracolosamente incolume).
Quando rientra a casa è successo quello che la madre aveva previsto: dormiva e non ha sentito che il padre è caduto dal letto. Lo portano in ospedale, sta davvero malissimo. Soad si sente in colpa, e si rassegna a sacrificare la sua vita, chissà ancora per quanto.
Questo film è stato accolto con grande apprezzamento nei Festival di mezzo mondo, ma francamente non mi è piaciuto. Secondo i miei, al contrario, entusiasti vicini di poltrona si tratta di “una magnifica metafora sulla situazione dell’Egitto di oggi, moribondo e incapace di reagire, affidato a persone che cercano di migliorarne la situazione anche se totalmente incapaci di risolvere alcunché, perché forse è troppo tardi”.
La regista Hala Lofty
Non so, penso che un film, in quanto opera d’arte, dovrebbe essere comprensibile indipendentemente dalla lettura dei quotidiani degli ultimi 6 mesi. Quello che ho visto è un film tedioso, con inquadrature impersonali di una casa non solo povera, anche inspiegabilmente lurida. E’ quasi un documentario, ma nella prima parte è decisamente troppo monotono per essere davvero interessante, troppo voyeuristico per non essere fastidioso. Mentre la seconda parte, fintamente neorealistica, è banalmente televisiva.
Non esiste trailer, ma per farvi un’idea dello stile di fotografia e di ripresa date un’occhiata a questo filmato caricato su YouTube dalla regista nel quale – unica nota davvero divertente che posso fare a questo film – potrete ammirare la protagonista indossare lo stesso pigiama che HO ANCH’IO! Ne sono sicura, l’ho avuto sotto gli occhi per un sacco di tempo: io a Milano, lei al Cairo – potenza della globalizzazione dei mercati!