Eppure a lei è legato uno dei risultati più importanti del 1900, il Teorema di Noether, tra gli attrezzi di base anche della fisica odierna, quella che esplora l'antimateria e insegue il bosone di Higgs.
Il teorema di Noether
Non fatevi ingannare dal titolo del paragrafo, non state per leggere la spiegazione elementare del teorema. Posso intuirne la portata, questo sì, ma seguirne i passaggi e, quindi, essere in grado di spiegarlo, non è roba per me. Non mi aiuta nemmeno la descrizione di Wikipedia (secondo il principio di località ad ogni simmetria differenziabile dell'azione di un sistema fisico corrisponde una quantità conservata).
In sostanza il teorema di Noether consente di dedurre leggi di conservazione della Fisica, partendo dalle simmetrie del sistema fisico.
Così, dalla simmetria spaziale si deducono le prime due leggi del moto di Newton, dalla simmetria nel tempo la legge della conservazione dell'energia.
La forza del risultato della Noether non sta però solo nello spiegare leggi già acquisite per via empirica, ma nel suggerire dove cercarne altre, partendo dall'osservazione delle simmetrie del sistema fisico che si sta studiando.
È in sostanza uno strumento potentissimo, che consente di lavorare per deduzione analitica, complementando la deduzione sperimentale.
Quando si dice la parità
Emmy Noether era la prima dei quattro figli di Max Noether, professore di matematica all'università di Erlangen.
All'epoca (siamo a fine 800), in Germania non era previsto che le donne potessero accedere all'università, tanto meno insegnarvi. Così Emmy completò gli studi liceali in lingue, abilitandosi all'insegnamento del francese e dell'inglese.
Non era però la sua vocazione. Il papà le aveva instillato la curiosità per la matematica, oltre a ferrarla in materia, come nessun normale corso universitario avrebbe potuto.
Fu così che la giovanissima Emmy provò a far accettare la sua iscrizione all'università di Erlangen, inizialmente senza successo. Ottenne di poter assistere alle lezioni, questo sì, ed era già un buon risultato, visto che c'erano professori che si rifiutavano di tenere lezioni ad un uditorio che non fosse esclusivamente maschile.
Ancora qualche anno e nel 1904 finalmente si aprirono le porte dell'università anche al gentil sesso, ed Emmy fu tra le prime ad entrare.
Ne sarebbe uscita qualche anno più tardi, nel 1907, con il massimo dei voti e la lode, grazie a un lavoro di tesi tutt'altro che compilativo. Per farsi un'idea, il relatore della sua tesi, Paul Gordan, pare che si esprimesse solo mediante formule, una ventina di pagine per volta. Erano i suoi amici ad aggiungere un po' di testo tra le formule, per renderle minimamente digeribili.
Una volta laureata, Emmy rimase all'università di Erlangen, dove insegnavano il padre e il fratello. La sua retribuzione era però pari a zero, perché alle donne continuava a non era consentito insegnare.
Nei successivi anni, quelli che precipitarono l'Europa nella tragedia delle Prima Guerra Mondiale, Emmy lavorò all'ombra paterna, sostituendolo nelle lezioni di tanto in tanto, e pubblicando lavori con lui.
Nel 1915 le arriva un invito per l'università di Göttingen, il tempio della matematica. David Hilbert (il dio supremo, per rimanere nella metafora religiosa) e Felix Klein la invitano a lavorare in quella università e cercano di ottenere per lei l'eccezione, la nomina a professore.
La risposta del ministero è agghiacciante: cosa penserebbero i soldati reduci dal fronte se, tornati all'università, si ritrovassero a seguire le lezioni di una donna?
Nel 1919 cade anche questo tabù, e arriva per Emmy la meritata cattedra. La sua carriera decolla, tra studi e insegnamento.
È amatissima dai suoi allievi, i ragazzi della Noether, che arrivano anche dalla Russia per assistere alle sue lezioni.
Fila tutto liscio, fino al 1933, con la presa del potere da parte di Hitler: Emmy e i suoi sono ebrei, e questa volta la discriminazione all'insegnamento non è più di genere ma di religione. Il fratello emigra a insegnare in Siberia, lei negli Stati Uniti.
Due anni più tardi, a soli 53 anni, Emmy se ne va. Il suo amico Albert Einstein la commemora sul New York Times: «Fräulein Noether was the most significant creative mathematical genius thus far produced since the higher education of women began».
Emmy e la non-bellezza
Non era una gran bellezza Emmy. Lo testimonia, ad esempio, la descrizione del nipote di un suo collega:
"Ricordo chiaramente una persona in visita che, sebbene una donna, mi sembrò simile a un cappellano cattolico di una parrocchia di campagna. Vestita con un indescrivibile pastrano nero che le sfiorava la caviglia, un cappello da uomo da cui spuntavano capelli corti (ancora una rarità all’epoca) e con una borsa a tracolla sistemata di traverso simile a quella dei ferrovieri all’epoca dell’impero. Era una ben strana figura. Avrà avuto circa trent’anni allora. L’avrei facilmente scambiata per un prete di qualche villaggio dei dintorni."
Se "Nessuno potrebbe sostenere che le Grazie abbiano presieduto alla sua nascita", altra testimonianza impietosa, c'è anche da dire che il suo spirito l'aveva sempre portata ad adattarsi al destino avverso: oltre a lavorare a lungo senza stipendio, dovette barcamenarsi con la piccola eredità ricevuta alla morte del padre, la legge testamentaria favoriva, infatti, i figli maschi. E quindi si era abituata a tagliare tutto il superfluo, abbigliamento incluso.
Peraltro allievi e colleghi le riconoscevano gran cuore e calore umano. Formale e irrigidita in quasi tutte le foto che la ritraggono, mi piace invece in una foto del 1931, in cui appare a suo agio, sorridente e felice. Come se non le avesse passate tutte lei: donna, ebrea, socialdemocratica e, perfino, pacifista.
Buona domenica.
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