Io avevo 5 anni. A 5 anni non ti rendi veramente conto di quello che sta succedendo. Osservi. Mi trovavo a casa di mio nonno con le mie tre zie "zitelle"( e già questo mi potrebbe costare anni di psicoterapia intensiva!) e quando incominciarono a cadere gli oggetti dagli scaffali, quando nei muri si incominciavano a disegnare delle righe perpendicolari da sole, come se una mano invisibile scarabocchiasse sulle pareti e fendesse le stesse con un coltello, tagliandole con la stessa velocità con cui si taglia una fetta di torta, quando si svvertì quel rumore tipico del terremoto, una sorta di tonfo, un rumore sordo e acuto al tempo stesso, subito le zie mi intimarono di mettermi sotto il tavolo perchè "è venuto il diavolo a prenderti perchè hai fatto la cattiva!"( ecco, altro che anni di psicoterapia, qui mi ci voleva un esorcismo bello e fatto...a me o alle mie zie (!?). Poi finita la scossa ci vestimmo e scendemmo in strada. Ricordo che le scosse si susseguirono nei giorni seguenti con netta sistematicità, per questo per notti dormimmo in auto nello Stadio che era di fronte casa mia a Napoli. Tutta la famiglia, zii, cugini, si erano trasferiti lì. Ricordo che con il papà salivamo di tanto in tanto in casa come piccoli archeologi per prendere beni di prima necessità o per i bisognini e quando entrammo nel bagno tutte le mattonelle erano a terra frantumate e si sentiva un odore di terra bagnata. La gente era solidale, ci si parlava tutti, ricordo le luci sparate all'interno dello stadio e le notti in auto quasi come un gioco...avevo le mie bamboline e i miei giocattoli, la mia borsetta e mi sembrava che nulla fosse fuori posto. Ero con la mia mamma, con il mio papà e la mia sorellina e seppure vedessi persone spaventate e che piangevano non mi rendevo davvero conto di cosa stesse accadendo. Ero con le mie cugine, parlavamo giocavamo a fare le "signore"...la paura, quella vera subentrò nei giorni successivi quando si viveva in un clima di terrore. Le borse sempre pronte accanto alla porta di casa. Mai più visto un pigiamino per mesi, dormivamo vestite, mai più la porta di casa chiusa a chiave e sempre una costante preoccupazione per nostra zia che viveva con noi e che era su di una sedia a rotelle e che nelle "fughe notturne" era la preoccupazione maggiore di mio padre e motivo di ansia e angoscia per la stessa zia. Ricordo lo sguardo rivolto sempre verso l'alto di mia madre, no, mica per un'estasi in preda alla preghiera!?!?!? Era per controllare se il lampadario si muoveva perchè se si muoveva era brutto segno e allora avremmo dovuto lasciare le cose così com'erano e saremmo dovuti scappare a gambe levate. Come tutte le cose, non è il momento della catastrofe quello peggiore ma quello che avviene dopo. La consapevolezza della portata di ciò che è accaduto e la paura che possa accadere di nuovo.
Io avevo 5 anni. A 5 anni non ti rendi veramente conto di quello che sta succedendo. Osservi. Mi trovavo a casa di mio nonno con le mie tre zie "zitelle"( e già questo mi potrebbe costare anni di psicoterapia intensiva!) e quando incominciarono a cadere gli oggetti dagli scaffali, quando nei muri si incominciavano a disegnare delle righe perpendicolari da sole, come se una mano invisibile scarabocchiasse sulle pareti e fendesse le stesse con un coltello, tagliandole con la stessa velocità con cui si taglia una fetta di torta, quando si svvertì quel rumore tipico del terremoto, una sorta di tonfo, un rumore sordo e acuto al tempo stesso, subito le zie mi intimarono di mettermi sotto il tavolo perchè "è venuto il diavolo a prenderti perchè hai fatto la cattiva!"( ecco, altro che anni di psicoterapia, qui mi ci voleva un esorcismo bello e fatto...a me o alle mie zie (!?). Poi finita la scossa ci vestimmo e scendemmo in strada. Ricordo che le scosse si susseguirono nei giorni seguenti con netta sistematicità, per questo per notti dormimmo in auto nello Stadio che era di fronte casa mia a Napoli. Tutta la famiglia, zii, cugini, si erano trasferiti lì. Ricordo che con il papà salivamo di tanto in tanto in casa come piccoli archeologi per prendere beni di prima necessità o per i bisognini e quando entrammo nel bagno tutte le mattonelle erano a terra frantumate e si sentiva un odore di terra bagnata. La gente era solidale, ci si parlava tutti, ricordo le luci sparate all'interno dello stadio e le notti in auto quasi come un gioco...avevo le mie bamboline e i miei giocattoli, la mia borsetta e mi sembrava che nulla fosse fuori posto. Ero con la mia mamma, con il mio papà e la mia sorellina e seppure vedessi persone spaventate e che piangevano non mi rendevo davvero conto di cosa stesse accadendo. Ero con le mie cugine, parlavamo giocavamo a fare le "signore"...la paura, quella vera subentrò nei giorni successivi quando si viveva in un clima di terrore. Le borse sempre pronte accanto alla porta di casa. Mai più visto un pigiamino per mesi, dormivamo vestite, mai più la porta di casa chiusa a chiave e sempre una costante preoccupazione per nostra zia che viveva con noi e che era su di una sedia a rotelle e che nelle "fughe notturne" era la preoccupazione maggiore di mio padre e motivo di ansia e angoscia per la stessa zia. Ricordo lo sguardo rivolto sempre verso l'alto di mia madre, no, mica per un'estasi in preda alla preghiera!?!?!? Era per controllare se il lampadario si muoveva perchè se si muoveva era brutto segno e allora avremmo dovuto lasciare le cose così com'erano e saremmo dovuti scappare a gambe levate. Come tutte le cose, non è il momento della catastrofe quello peggiore ma quello che avviene dopo. La consapevolezza della portata di ciò che è accaduto e la paura che possa accadere di nuovo.
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