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«La
scoperta di Kepler 452B – dice Mentana (La7, 23.7.2015) – influirà molto sul
nostro futuro»,
però ci mette un «forse»
che probabilmente gli sarà sembrato un doveroso omaggio alla serietà di
informazione, metti caso poi su quel pianeta dovessimo trovarci un
insopportabile fetore di formaggio andato a male che ci costringa a
organizzarci un futuro altrove, e i telespettatori rimangano delusi.
È sul «forse» che vale la pena di
soffermarci, perché chi parla della scoperta già pregustando
l’eccitazione
che proverà nel preparare le valige non merita neppure compassione.
Dice niente che Kepler 452B sia a oltre 1400 anni luce? Si tratta di
quindici milioni di miliardi di chilometri (15.000.000.000.000.000
km), distanza che un’ipotetica
astronave
in grado di viaggiare ad una velocità dieci volte maggiore di quella
a cui viaggiano le astronavi fin qui realizzate coprirebbe in
pressappoco 40 secoli. Trascurando il problema di un generatore di
energia in grado di fornirne a sufficienza per un viaggio del genere,
a bordo dovrebbero susseguirsi una sessantina di generazioni di
astronauti, con l’augurio
che scorrano l’una dopo l’altra senza intoppi riproduttivi.
Date
queste premesse, e ammesso e non concesso che tutto vada liscio,
intorno al 6000 d.C. dovremmo essere nei pressi di Kepler 452B,
«pianeta gemello», «pianeta cugino», nomignoli affettuosi che già segnalano una certa confidenza. Bene, pare che il parente abbia una massa 60% maggiore della Terra, con quanto ne consegue per la forza di
gravità. Su Kepler 452B, per capirci, l’intero corpo umano
subirebbe in modo costante l’effetto che qui sulla Terra è il solo
sacco scrotale a subire al «forse»
di Mentana. Non dovrebbe bastare questo a scoraggiarci dal viaggio?