Qualche giorno fa, ho incontrato due amici di ritorno dalla Malesia e la prima cosa che mi hanno detto è stata che Kuala Lumpur non gli è piaciuta per niente. E’ vero che io non sono stata lì molto, ma sono tornata da quelle 24 ore letteralmente affascinata dalla città. E’ ovvio, ognuno ha i propri gusti, a volte dissimili o addirittura opposti a quelli degli altri. A volte sono le aspettative ad ingannarci. Averne sempre sentito parlare in modo entusiastico può farci immaginare un luogo molto diverso da com’è in realtà.
Ma non credo sia solo questo.
A volte è il caso a farci innamorare di un luogo.
A volte è l’uscire dagli schemi e dai programmi prefissati.
Per esempio perdere un autobus ed essere costretti a fare un percorso a piedi in cui immaginavamo non ci fosse nulla da vedere.
O incappare in un tassista che parla un po’ d’inglese ed ha voglia di raccontarti del suo paese.
Incrociare, anche solo per qualche ora, una persona carismatica che ti fa entrare nel vivo di quella città.
Scoprire solo al mattino che c’è una festa nazionale con stop degli autobus e dover chiedere al tuo locandiere un modo per lasciare quel villaggio sperduto dell’Indonesia. Vedere trasformato il tuo semplice spostamento nell’occasione di una gita al mare retribuita per una decina di ragazzi. Sopra ad un camion per lavori agricoli a ritmo di musica reggae a tutto volume. L’attrazione del giorno di festa per tutti coloro incontrati lungo il percorso.
Sono quei piccoli avvenimenti che ti cambiano un viaggio e si trasformano in ricordi indelebili nella tua mente.
A volte basta non essere rigidi nel programma, plasmarsi attorno all’imprevisto, dare ascolto all’istinto. Cogliere e seguire l’attimo.
Così Kuala Lumpur mi ha regalato uno dei suoi ricordi più preziosi.
Dopo aver visitato le Batu Caves, in serata ero andata a fare una passeggiata. Complice una sensazione di sicurezza insieme alla voglia di anticiparmi un po’ sul programma del giorno dopo. Mi ero diretta a Chinatown e di colpo ero tornata indietro a quando vivevo in Cina.
Stesse viuzze piene di ristorantini alla mano, stessi odori, piccoli negozi di fiori, mercatini di falsi con talmente tante borse e vestiti da non riuscire a passare. Ad allietare l’atmosfera ancora le tante piccole lanterne rosse del Capodanno cinese.
Una sosta al Central Market, edificio in Art Deco adibito all’artigianato dove si possono trovare, in mezzo ai tanti, qualche negozietto di cose particolari. Poi avevo deciso di rientrare, esausta dal giorno di viaggio e cammino. Solo una volta salita sul treno della Metro, mi ero accorta dalla cartina di essere passata accanto al piccolo tempio indiano di Sri Mahamariamman che avrei voluto vedere. ”Pazienza” avevo pensato. La mattina dopo non sarei tornata a Chinatown solo per vedere quel tempio. Infatti, appena alzata, mi ero diretta in centro per vedere il simbolo di Kuala Lampur, le Petronas Twin Towers.Due torri gemelle alte 492 metri ed unite insieme da un ponte a 170 metri di altezza dal suolo. Uno “sky bridge” praticamente. Imponenti e splendenti sotto ad un sole accecante i cui raggi venivano centuplicati dal riflettersi sulla facciata di acciaio inossidabile delle torri. 32.000 finestre sulla città.Un’occhiata discreta alla Moschea.Poi mi ero diretta a passi veloci verso Little India, il quartiere dove vive la maggior parte della popolazione indiana. Una tappa imperdibile per me, da sempre attratta dall’India senza esserci mai andata. Dopo un po’ che camminavo, mi sono accorta che avevo imboccato una traversa sbagliata e stavo andando da tutt’altra parte. Praticamente ero di nuovo a Chinatown. Vengo comunque attirata da un gruppo di case fotografate la sera prima i cui colori, sotto il sole, avrebbero avuto sicuramente tutta un’altra bellezza.Poi una donna che cammina nel suo sari indiano e, più avanti, un’altra bella serie di case.Fra una foto e l’altra mi rendo conto di essere di nuovo nei pressi del tempio indiano. Ma l’aereo è dopo poche ore e, andare a cercarlo, significherebbe non vedere Little India. No, torno sui miei passi verso il quartiere indiano. Poi il pensiero che se corro ce la faccio e torno indietro. Chiedo indicazioni per trovarlo subito, ma mi fanno sbagliare strada. In quel punto Chinatown è un dedalo di stradine e mi perdo in un attimo. Desisto quindi e inizio quasi a correre per non perdermi Little India. Solo a quel punto mi arriva alle orecchie un frastuono di campane suonate a festa ed intuisco che il tempio è vicino e che ci deve essere anche qualche cerimonia in corso. Seguo il suono e in un attimo sono davanti al tempio. Una piccola perla letteralmente incastrata fra le case.La facciata ricoperta da una moltitudine di personaggi colorati in mezzo alle case monocolori. Davanti, una piccola ressa. Uomini, donne e bambini indiani elegantissimi nei loro costumi tradizionali. Contrariamente a quanto capitato fino a quel momento, le scarpe vanno lasciate in una stanza a qualche metro dal tempio e proprio quel mattino non mi ero messa i calzini. Così percorro a piedi nudi alcuni metri di strada. Incurante per una volta dell’igiene perché, un auto piena di fiocchi, mi fa capire che si sta celebrando un matrimonio indiano. Entro e sono in un altro mondo. Un tempio piccolissimo e coloratissimo.Un suonatore seduto a terra suona uno strumento che riempie il piccolo chiostro. Due sposi felici in posa con i parenti davanti agli obiettivi.Prima fotografo da lontano, poi capisco che gli sposi sono contentissimi di venire ritratti anche da me e mi avvicino.Mi piacerebbe cogliere ogni piccola espressione, chiudere in una fotografia ogni sari dal colore di spezia.Un signore si sbraccia dal portico a fianco e mi fa segno di andare lì portandosi la mano alla bocca come per mangiare. Vedo dei tavoli con bianche tovaglie. Mi era successa la stessa cosa il giorno prima vicino ad un tempio ed avevo pensato volessero vendermi cibo. Solo dopo avrei scoperto che, durante i matrimoni indiani, viene benedetto del cibo che poi viene offerto e diviso con gli invitati in un pranzo direttamente dentro il tempio. Per fortuna non ho capito altrimenti l’aereo per tornare in Thailandia non l’avrei mai preso. Sono arrivata al check-in 45 minuti prima del volo e mi hanno imbarcato per miracolo!Questo per dirvi che se io avessi seguito rigidamente il mio programma, questo matrimonio non l’avrei mai visto. Il caso ha fatto la sua parte, collocandomi nel punto giusto al momento giusto. E, sicuramente, il mio ricordo di Kuala Lumpur sarebbe stato meno colorato, meno pieno di sorrisi, fiori, odori di incenso e suoni di campane a festa.
Sarebbe stata un’altra Kuala Lumpur.
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