Non
tardano a sortire, com’era da attendersi, le obiezioni alla
sentenza della Cassazione che ha dichiarato illegittima l’esenzione
fiscale sugli immobili in cui si svolgono attività didattiche
gestite da religiosi. Vale la pena di prenderle in considerazione,
però dicendo subito che le scuole cattoliche continueranno a godere
del trattamento di favore fin qui goduto, e che sarà non in forza
degli argomenti – tutti assai debolucci, come vedremo – che
sollevano queste obiezioni, ma di un cavillo che al momento non fa
ancora capolino nelle dichiarazioni ufficiali, e non per pudore, figurarsi. La sentenza, infatti,
sancisce un principio, e un principio sacrosanto, ma non può che trarlo dal caso specifico che
era sottoposto ai giudici, e il caso verteva sul mancato versamento
dell’Ici al Comune di Livorno da parte di due scuole cattoliche,
quella del Santo Spirito e quella dell’Immacolata. Ripeto: mancato
pagamento dell’Ici, perché la controversia maturò ai tempi in cui
non era ancora in vigore l’Imu, che sempre imposta sugli immobili
è, ma che dall’Ici formalmente differisce per diversi aspetti.
C’è
bisogno che vada oltre? Si dirà che la sentenza riguardava una tassa che non è più dovuta, per la semplice ragione che è stata abolita, e che sul mancato pagamento di quella che l’ha sostituita c’è da ridiscutere, in parlamento e in tribunale. L’argomento che tornerà buono alla Cei,
dunque, non è tra quelli che prenderemo in considerazione, ma quello
che opporrà alla sentenza il fatto che essa riguardava l’Ici, non
l’Imu. Anzi, visto che gli argomenti che avremmo dovuto prendere in
considerazione servono solo di copertura a quello che sarà il reale
nucleo della controffensiva clericale, con l’immancabile supporto dei filoclericali che siedono al governo e in parlamento, possiamo anche risparmiarci di
illustrarli e contestarli, tanto sono i soliti, quelli che da decenni
hanno di fatto cassato l’art. 33 della Costituzione: «Enti
e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di
educazione, senza oneri per lo Stato». Perdere tempo a discutere di cazzate? Possiamo evitare.
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