È la prima metà dell'editoriale che Marco Travaglio ha firmato per Il Fatto Quotidiano di martedì 25 novembre e chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale non potrà negare che il pezzo sia costruito molto bene, da polemista di gran talento. Appagati i sensi da un così bel saggio di scrittura, tuttavia, c'è da chiedersi a cosa possa mai servire l'ennesima conferma che Matteo Renzi sia una gran merda d'uomo. Scoprirlo ancora una volta cinico, sleale, opportunista - falso come una banconota da ottanta euro - farà cambiare idea a qualcuno? Probabilmente neanche Marco Travaglio ci conta, ma è che quello è il suo lavoro: dare argomenti a chi già abbia le sue stesse convinzioni, confortarlo nella persuasione che avesse ragione, ieri, contro la maggioranza di italiani che sceglieva Silvio Berlusconi e che abbia ragione, oggi, contro la maggioranza di italiani che sceglie Matteo Renzi. Una sorta di assistenza psicologica, potremmo concludere. Ma un problema resta, ed è quello della patente inefficacia di argomenti che dovrebbero essere inoppugnabili - che un uomo politico sia in costante debito di coerenza verso l'opinione pubblica, che debba tener fede alla parola data, che non possa concedersi il lusso di una doppia morale - a fronte degli strumenti che a dispetto di tutto ciò procurano consenso: non basta aver ragione per vederla riconosciuta. Nel mio piccolo ho già messo in guardia dall'usare la ragionevolezza come genere di conforto, perché è pia illusione "pensa[re] che a far perdere consensi a un demagogo possa bastare il riuscire a coglierlo in contraddizione con se stesso, dar prova che non sia uomo di parola, che non mantenga le promesse, che cambi idea con la disinvoltura con cui una puttana passa da cliente a cliente", perché fare le pulci a un demagogo, se non è per mestiere, è per accanimento da ingenui "convinti che alla gente faccia difetto solo la memoria. Magari. È che alla gente fa difetto pure la memoria, ma soprattutto la buona coscienza" ( Malvino, 22.9.2014).
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