La ‘povna quest’anno lo ha vissuto in maniera partecipata, come sempre. Lo ha vissuto dopo aver portato la sua classe seconda (i Pesci) in Appennino, a parlare di storia e di memoria attiva che si fa cittadinanza, come sempre. Lo ha vissuto rispondendo ai messaggi dei cento amici che le scrivono “Buon 25 aprile!”, anche loro presi a celebrare e ricordare, come sempre. Ma lo ha vissuto anche, per la prima volta, da candidata. E dunque insieme ad Alighiero e alla Segretaria del Circolo ha partecipato alla seduta del consiglio comunale aperta al pubblico, con l’intervento di associazioni e rappresentanti, all’alzabandiera in onore dei caduti, alla deposizione delle corone sulle lapidi. Ed è stato commovente e molto bello, come sempre, ma con in più quel brivido che si prova al pensiero di essere parte della cosa pubblica, il significato vero (e che deve essere attuale) di quella parola splendida, “politica” – che non va mai, mai dimenticato.
Ora, da casa, mentre prepara i materiali con cui parlare del 25 aprile anche agli alunni, ricerca le parole di Calvino, che sono sempre adatte. E sceglie quelle della Prefazione del 1964 al Sentiero dei nidi di ragno, da condividere per questo giorno qui su Slumberland. Quando Calvino – a diciannove anni dalla fine della guerra – le sceglieva con cura, adatte a un periodo di riflusso. Per suonare la carica, ma anche ricordare che il cambiamento non si fa gridando convinti (e magari anche a ragione): “a morte tutto”, ma provando a giocare, mettendoci la faccia – perché solo quando si scontra con la prosa del mondo la poesia delle idee può diventare atto. E il cambiamento si costruisce così, mattone su mattone, a fare muro.
“Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo fatto in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, “bruciati”, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità. Non era facile ottimismo, però, o gratuita euforia; tutt’altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, anche uno nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l’accento che vi mettevamo era quello d’una spavalda allegria. Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del primo romanzo. La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e di pacchi di farina e bidoni d’olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse, e così ogni avventore ai tavoli delle “mense del popolo”, ogni donna nelle code dei negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa d’altre epoche; ci muovevamo in un multicolore universo di storie”. (Italo Calvino, Prefazione al Sentiero dei nidi di ragno, 1964)