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25 novembre 2014 – Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: dal femminismo al femminicidio, dal caso Moretti-Zurru a Samantha Cristoforetti, la prima italiana nello spazio.

Creato il 22 novembre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Marywollstonecraftdi Rina Brundu. La “Rivendicazione dei diritti della donna: con critiche sui soggetti politici e morali” (1792) di Mary Wollstonecraft è uno dei testi cardine della cosiddetta filosofia femminista. Purtroppo però, nonostante la tanto accorata quanto frettolosa difesa dei diritti dell’altra metà del cielo, per noi moderni viene molto difficile considerare femminista un testo dove tra le altre considerazioni l’autrice scrive: “Non si concluda che io voglia invertire l’ordine delle cose; ho già concesso che, giudicando dalla loro costituzione fisica, gli uomini sembrano destinati dalla Provvidenza ad avere maggiori virtù….” et bla-bla-bla infelicemente validando la datata idea di una superiorità morale (in senso lato) e fisica del genere maschile.

Non c’é lungo viaggio che non inizi con un primo passo è quello della Wollstonecraft – e delle tante altre donne della sua epoca – resta comunque un coraggiosissimo primo passo, da apprezzarsi perché é anche grazie a lei se noi donne di oggi possiamo “dissentire” in manier netta e sostanziale dalle sue posizioni. Di fatto, il problema del femminismo post-rivoluzione digitale e dei perniciosissimi crimini (vedi il femminicidio), che ne giustificano la sua esistenza, la sua necessaria rinascita in quanto movimento di protesta, è dato soprattutto da un quanto mai degradato background culturale. E per “degradato background culturale” intendo un desolante panorama sociale sovente tratteggiato con il pennello della dilagante ignoranza di ritorno che caratterizza i nostri tempi, intinto in salsa social, ma non solo.

L’aspetto che mi colpisce di più quando parlo o sento parlare di femminismo è proprio il fatto che se ne debba ancora discutere. Che lo si debba menzionare ancora. Solo pochi anni fa, pensavo al femminismo come a un glorioso movimento di protesta che aveva fatto il suo tempo, che non mi apparteneva né culturalmente né per necessità e che come cittadina di questa età diversa faticavo anche a comprendere. Poi, col passare degli anni, ho capito che mi sbagliavo, che il rischio era quello di comportarmi come una talpa. Ho capito che purtroppo le battaglie del femminismo erano tutte ancora da combattersi e che non potevo usare la mia fortuna di donna indipendente che di quegli ideali di lotta non aveva avuto bisogno, per voltar loro le spalle. Al contrario, bisognava aprirsi agli stessi, lottare per quegli stessi traguardi sebbene con le “armi” che meglio ci appartengono. E in parte l’ho fatto, lo faccio ancora, anche tra queste pagine, soprattutto tento di non fare mai marcia indietro, là dove ha un senso farlo.

Certo, mi è difficile comprendere una qualsiasi donna che – davanti ad un uomo padre-padrone, ad un uomo violento, ad un marito ubriaco, ad un compagno che non sia tale veramente (non si può mai essere veramente “compagni” di qualcuno se non si è prima di tutto compagni nello spirito), non faccia fagotto e si allontani subito, ma è vero che é facile parlare alla “distanza”. Confesso però che mi è ancor più difficile comprendere la cultura da “ignoranza di ritorno” di cui parlavo prima e che ho sperimentato sulla pelle solo tre anni fa quando dopo 15 anni di Irlanda tornai in Sardegna per un breve periodo. Con mia grande sorpresa trovai il nostro ambiente di montagna, figlio ribelle di una orgogliosa cultura matriarcale, curiosamente “italianizzato”. Ricordo il disagio che provavo quando durante una qualsiasi discussione, anche tra donne, anche tra donne sposate, l’argomento finiva con l’essere sempre e solo uno: gli uomini in quanto maschi. Dopo pochi giorni dal mio arrivo già mi veniva chiesto perché non mi ero sposata e mi si spronava a farlo presto. Dopo il disagio mi prendeva il vomito e poi una tristezza sostanziale dentro. Mio malgrado ero costretta a realizzare che quel vivere ai piedi della Grande Montagna che io avevo idealizzato nel ricordo, poteva diventare gabbia sostanziale per l’Essere se si viveva senza una capacità di razionalizzazione importante.

E qui parlo ancora di ambienti sani, onestamente non mi riesce neppure di immaginare cosa voglia dire vivere una condizione di subalternità di genere in ambienti completamente degradati. Non potendolo fare preferisco non parlarne. Resto convinta però che i modelli formativi ed educazionali restino l’unica arma valida per risolvere il “problema”. Per risolverlo alla radice and once for all. Proporre “modelli” validi spetta certamente alla scuola, ma vero è che nella società iperconnessa e interattiva che viviamo oggi, i modelli vengono proposti anche da una molteplicità di fonti: dai media, dalla classe politica, dalla televisione, da chi si propone in Rete a qualsiasi titolo, etc.

Non ho alcun particolare desiderio di proporre un mio modello, ma qualora lo facessi non ho mai fatto mistero che il mio modello sarebbe quello di una donna indipendente, preparata, istruita, capace e con le palle (che non è un elemento di secondaria importanza e che non fa equazione col modello Sue-Ellen!). Non a caso tempo fa menzionai il modello Fabiola Gianotti, e lo feci quando la signora Gianotti non era ancora la futura direttrice del CERN di Ginevra, ma raccontava al mondo ogni dettaglio dell’esperimento ATLAS che, insieme ai colleghi, l’aveva portata ad individuare il celeberrimo bosone teorizzato da Peter Higgs. Sullo stessa linea oggidì non esiterei a proporre il modello Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana nello spazio. E non solo perché va nello spazio ma per il fenomenale background di conoscenza tecnica unito ad una grande capacità di apertura verso gli altri che sembra avere. Basta guardarla quando sorride e quando non si prende troppo sul serio.

Dalle stelle a… terra, posso senz’altro affermare che non sono miei modelli né la Rosy Bindi che “spara” a zero sulle giovani colleghe di Partito che sarebbero al loro posto solo perché belle e piacenti (perché al tempo del comunismo duro e puro e dei compagni tutti d’un pezzo non era la stessa cosa?)), né la Alessandra Moretti deputata del PD che critica la Bindi per le sue posizioni facendo bandiera del motto «Dobbiamo e vogliamo essere belle, brave, intelligenti ed eleganti». Preferisco di gran lunga essere come mi pare e piace ma de gustibus non si discutono.

Piuttosto si può senz’altro discutere del curioso “incidente” digitale che ha indirettamente interessato la Moretti. A leggere il Corriere.it sembrerebbe che a seguito di una intervista fatta dallo stesso quotidiano a questo onorevole, il prof Marco Zurru, docente di Sociologia dell’Economia all’Università di Cagliari, avrebbe postato su un sito alcuni commenti “volgari”. Nello specifico il professore (che poi si è scusato) avrebbe scritto:«La fi… al potere, un disastro sociale». Apriti cielo!! Il professore sarebbe stato prontamente deferito al comitato etico dell’ateneo e probabilmente verrà spedito adesso a Guantanamo, anzi dovrà andarci a piedi nudi camminando sulle braci ardenti… Che esagerazioni!

 A parte il fatto che il commento, comparato a tante puttanate che si leggono in Rete è veramente soporifero, e a parte il “tanto di capello” per non averlo postato in forma anonima (mi perdoni, professore, un momento di rinc.. viene davvero a tutti!), non capisco proprio questo ennesimo stracciarsi le vesti in piazza di tutto il corpo docente. Più seriamente non capisco e non approvo l’imposizione, da parte di chicchessia (preciso che non ho letto di nessuna presa di posizione della Moretti e nel caso ha fatto benissimo), di modelli femminili infettati dal tarlo del vittimismo.

Dico invece che secondo me la faccenda si poteva concludere subito con modalità molto più degna – stile matriarcato sardo –  e senza porgere l’altra guancia (mai farlo, perché é proprio partendo dalle piccole sopraffazioni lasciate cadere che si arriva alla cultura femminicida!). La fi… al potere, un disastro sociale? Sempre meglio dallo sfascio universale procurato da quasi duemila anni di ininterrotta politica del cazzo!

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Post Scriptum.

Rivendicazione dei diritti della donna: con critiche sui soggetti politici e morali” (1792) di Mary Wollstonecraft – chi vuole può scaricare il PDF dell’originale inglese qui wollstonecraft1792

Post Scriptum 2.

Alle donne vorrei dire che comunque non bisogna farsi il sangue troppo cattivo con la questione della parità tra uomo e donna: è indubbio infatti che prima o poi la dovremo concedere!

Featured image, Mary Wollstonecraft by John Opie (c. 1797)

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