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ностальгия.

Creato il 26 aprile 2012 da Enricobo2
La variabilità della primavera sembra girare al bello. Il tepore comincia a farsi sentire ed il mese di maggio alle porte ne darà conto, per lo meno nei paesi come il nostro dove gli eccessi sono sempre stati mitigati dalla latitudine. La centralità e la moderazione è sempre più gradevole dell'estremismo, ma che languore e che nostalgia se penso alla primavera di Mosca. Eppure, tra le altre, è forse la stagione russa più sgradevole. Il bianco nitore invernale si muta adagio adagio in fanghiglia sporca e fastidiosa. Il freddo di nonno inverno, così secco che quasi non lo avvertivi, ben coperto sotto l'esangue disco lontano del sole velato dalle brume non è così sgradevole, anzi, ben conosciuto e preparate le opportune difese, è quasi piacevole. Vesti calde e scarpe imbottite, ti puoi godere la passeggiata anche se, quando fai un respiro lungo, non protetto da una bella sciarpa, senti un dolore al centro del petto, segno inequivocabile che sei sotto i -25°C. La primavera invece quando arriva è pioggerella umida, piedi bagnati, sudore perché sei troppo vestito o brivido di freddo se ti sei scoperto troppo in fretta. Le temperature passano in un attimo da 0 a 25 gradi. Pochi giorni fa l'amico Ferox, sguazzava nella fanghiglia semighiacciata, ieri Zhenija mi parlava di 28°C e maniche di camicia. 
Che sensazione eccitante, quando uscivo al mattino dal Pekin di buon ora e le strade erano ormai asciutte, il sole già alto nel cielo ed ogni giorno potevi constatare di come le ore di luce si allungassero a dismisura e i primi chiarori ti coglievano così presto dai finestroni non velati dell'albergone sovietico, svegliandoti, privo di paraventi a proteggere il sonno, come se i moscoviti non volessero perdersi neppure un attimo di quel bagliore meraviglioso dopo tanti mesi di pallida oscurità. I lampioni gialli ormai spenti, le porte della metro lasciavano uscire frotte di giovani ragazze che la stagione incipiente aveva già convinto a lasciare le calde dublionke e le shapke di volpe per dare spazio a gonne svolazzanti che i soffi di vento forte muovevano così maleducatamente, facendosi beffe dei loro tentativi di coprire le lunghe gambe affusolate, scompigliando ad un tempo anche i loro capelli biondi. Nelle poche centinaia di metri di largo marciapiede del kalzò, l'anello che circonda il centro, che percorrevo per arrivare all'ufficio era tutto un ticchettio di passi veloci, mentre le poche macchine passavano finalmente senza sollevare gli sgradevoli spruzzi di acqua sporca. 
Avevi una sensazione di gradevole speranza, non turbata dal miserevole squallore delle vetrine spente e grigie, il negozio misero di orologi usati Ciasì dati in conto vendita, la sartoria che pomposamente si chiamava Atelier, con due manichini storti e un fondale staccato da anni che nessuno raddrizzava,  il magazzino Producti con gli scaffali desolantemente vuoti e le sue commesse ingrugnite che speravano solo che tu non entrassi ad infastidirle. Bastava fare due passi in uno dei tanti parchi della città e lo spuntare dei germogli, le prime verdi foglioline sui rami allargavano i sorrisi delle mamme coi bambini per mano, qualche vecchio cominciava a sedersi qua e là a giocare a scacchi, anche l'aria non sembrava più puzzare di carburante mal combusto. Avevi voglia di stare fuori, di passeggiare per le strade del centro tra i palazzi antichi decaduti, nel giardino sotto al Cremlino a vedere se anche quella fine di aprile era così ricco di spose che portavano il bouquet alla tomba dei caduti, a traversare la Piazza Rossa in diagonale per goderti i colori delle cupole di San Basilio. Zhenija si stringeva nel cappotto leggero, sembrava avere ancora freddo, stringendosi il foulard attorno alla gola, piuttosto delicata e guardava di sbieco la torre Spaskaija con la stella rosso rubino che continuava a brillare anche se ormai sventolava la bandiera bianca, rossa e blu del rinnovamento. Che nostalgia!
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