Commentando l'intervista che Bergoglio ha concesso una dozzina di giorni fa a Tornielli (Una questioncella di teodicea che non imbarazza solo Bergoglio, dunque, ma è che Bergoglio ci tiene al profilo mondano, e teneva a far presente che quel La Stampa, 15.12.2013), ho rilevato che la risposta "non c'è spiegazione" gliel'aveva rifilato Dostoevskij, suo "maestro di vita", al che facevo presente che quella era la risposta di Ivan Karamazov, un senzadio, alla quale suo fratello "non c'è spiegazione" alla domanda "perché soffrono i bambini?" sia il sintomo più evidente di quanto il cattolicesimo sia crisi. Al perché Dio possa consentire che i bambini soffrano, infatti, la teologia ha una risposta, ed è quella che fino a qualche decennio fa anche l'ultimo dei pretonzoli non aveva difficoltà alcuna a ripescare dal De natura boni di Agostino studiato in seminario, fatto sta che è risposta così atroce, e a tal punto puzza dell'arcaico rituale della bestia innocente immolata per ingraziarsi un Dio feroce, che pure Ratzinger, nel 2010, preferiva far finta di non conoscerla, anche se si è sempre detto che quelle occhiaie gli fossero venute proprio per aver passato anni ed anni su Agostino, e alla bambina giapponese che gli chiedeva perché Dio avesse consentito allo tsunami di recidere le vite di tanti suoi coetanei farfugliava: "Anche a me viene la stessa domanda, ma non abbiamo risposte". Alëša, anima pia e devota, opponeva proprio quella data da Agostino. Bene, se n'è accorto anche il giornale dei vescovi, che manda Alessandro D'Avenia a coprire la stronzata con un po ' di segatura.
Gira e rigira attorno alla stronzata detta da Bergoglio, poi a metà dell ' editoriale procede: "Il Papa evoca le brucianti pagine in cui Ivan Karamazov, nella sofferenza degli innocenti, scorge un segno dell'assenza di Dio e se ne serve per la sua ribellione. Quella del freddissimo Ivan verso il dolore innocente non è però com-passione ma denuncia, scusa, teoria progettata da un cuore incapace di amare con i fatti e bisognoso quindi di auto-giustificazione. Egli s'aggrappa a quel dolore non per alleviarlo, ma per usarlo. Prende le distanze da quel dolore per mettere a tacere la sua coscienza e Dio, ergendosi a giudice di un mondo e di un Dio sbagliati. Ivan non muove un dito, non si china sul dolore, ma lo lascia lì, per servirsene come atto di accusa e come certificato medico per il suo cuore gelido. Per Ivan il dolore innocente è la frontiera sbarrata a un Dio che non risponde ai perché dell'uomo, la frontiera che segna il confine della terra dell'uomo in cui Dio non può entrare perché non ha i documenti in regola e viene rimandato indietro. Su quella stessa frontiera lo lascia entrare il Papa che incontra proprio lì lo sguardo di Dio, un Dio con la carta d'identità in regola, e tanto di fotografia: Cristo. Anche Dostoevskij smaschera la "colpa originale" di Dio e la rinvia alla libertà dell'uomo. Nelle pagine dello stesso romanzo il monaco Zosima ricorda il fratello Markel, morto giovane. Anche lui, come Ivan, lontano da Dio. Markel però, grazie al suo male, ha una conversione profonda fino a dire "in verità ognuno è colpevole dinanzi a tutti, per tutti e per tutto. Io non so come spiegarlo, ma sento fino allo spasimo che è così". Proprio questa consapevolezza gli ha dato la gioia del Paradiso, perché gli ha aperto occhi e cuore all'Amore. Egli si fa carico del dolore innocente come colpevole: veste così i panni del Dio che nella notte di Natale veste quelli dell'uomo. Sembrano parole provenienti da un mondo altro quelle di Markel, ma sono le parole che usano i santi definendo la propria essenza incapace di amare e benedire. Prima ancora di riferirsi ai peccati effettivamente commessi, essi dicono "sono un peccatore". E lo dicono proprio perché la santità di Dio li ha toccati. Sono due le possibilità che Dostoevskij prospetta di fronte al male, all'ingiustizia, al dolore: Ivan, l'uomo che resta uomo, o Markel, l'uomo che è trasformato in un altro Cristo".
Sia, ma Bergoglio dà la risposta che dà Ivan o quella che dà Markel? E poi: nella risposta che dà Bergoglio v'è un pur lontano cenno a Markel? La stronzata resta lì, D'Avenia riesce solo a spargerci sopra un velo di segatura. Perché, prima di tutto, Markel è un peccatore, e ammette i suoi peccati, insieme a quello originario, per farsi santo attraverso l'espiazione nel dolore, fino alla morte. In più, non è un bambino: ha 17 anni, scrive Dostoevskij, e a quell'età nella Russia zarista si è già adulti. Come può reggere il parallelo con il dolore e la morte di un bambino che del solo peccato originario che gli si voglia addebitare neanche ha coscienza? Nel caso di Markel, l'individuo è attore, conscio, liberamente delibera l'accettazione della sofferenza e della morte come riparazione sulla via della santità. Nel caso del bambino, tutto questo manca. Il velo di segatura non copre la stronzata. Ma D'Aveni a non demorde: "O si maledice un mondo siffatto, nel quale siamo convocati senza consenso, trincerandosi dietro un legittimo atto di accusa al mondo e a chi l'ha fatto, allontanandocene, accusando la storia fino a disprezzarla: si diventa freddi, rigidi, effettivamente "cattivi"; oppure si benedice il mondo e si assume su di sé la colpa, rimanendo nel dinamismo della storia, accettando il male che ogni giorno riserva (la morte si sconta vivendo), lasciando che la pena ferisca la carne e a contatto con essa, in Cristo, venga superata chinandosi e abbracciando: si diviene più aperti ed effettivamente buoni, di una bontà che non è nostra".
E questa seconda opzione sarebbe quella che si prospetta, per esempio, a un bambino di un anno appena che urla pazzo di dolore perché un cancro gli sta mangiando il cervello? Sì, pare che sia proprio così: "Maledire gli altri e il mondo ci porta a maledire Dio e in ultima istanza noi stessi: Ivan. Benedire gli altri e il mondo invece è essere dentro lo sguardo che Dio ha sulle cose e le persone, è essere liberi dal giudizio, e noi saremo giudicati come abbiamo giudicato, salderemo il debito che abbiamo imputato ai nostri debitori: Markel". Se questo era il lavoretto per cui era stato mandato, era meglio che D'Aveni trezzasse con bustina e sacchetto. Perché la stronzata è ancora tutta lì, dove Bergoglio l'ha deposta. È chiaro, infatti, che il bambino non è assolutamente in grado di benedire gli altri e il mondo per il cancro che gli sta mangiando il cervello, dunque non ha modo di saldare alcun debito: due volte maledetto, quindi? E da chi, se non dal Dio che se pure esistesse meriterebbe solo il nostro odio per la sua crudeltà? No, è la sola spiegazione, e non ammette l'esistenza di Dio. "non c'è spiegazione"