
Auschwitz. Birkenau.
E’ incredibile il silenzio che ti accompagna mentre visiti questi luoghi. E’ pesante, denso come una nuvola di fumo grigio. Ti entra dentro. Ti impedisce di respirare.
Perché va bene studiare. Parlarne. Guardare film sul tema. Ma quando sei lì, quando cammini e l’unico rumore è quello dei tuoi passi, quando guardi un muro e sai che ha raccolto l’ultimo respiro di un uomo troppo giovane per morire, o un cubicolo sotterraneo troppo basso e stretto per ospitare anche solo cinque persone e ti viene detto che di persone, lì dentro, ce ne stavano almeno dieci, allora ti rendi conto, d’un tratto, anche se ti sembrava di saperlo già, che non è un racconto, non è un film. E’ la realtà.
Te lo dicono le fotografie che tappezzano i muri di un corridoio. Che ti osservano mentre avanzi con gli occhi un po’ bassi, incapace di fissare quei volti intrappolati nel tempo. Ma gli occhi li devi alzare. Devi guardare.
Per meditare che questo è stato.
Per non dimenticare.

Se questo è un uomo (
Primo Levi)
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpiterle nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Un paio di scarpette rosse (
Joyce Lussu)
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.