Magazine Diario personale

27 gennaio (ovvero #siamotuttinazisti)

Creato il 27 gennaio 2015 da Povna @povna

“Prof., posso farle una domanda?” – le aveva chiesto ieri Jim Hawkins, prima che il suono della campana decretasse la fine della lezione con le Giovani Marmotte.
“Certo, dimmi pure la seconda” – aveva risposto la ‘povna con la battuta (scontata) che oramai tra loro è prassi.
“Perché per il giorno della Memoria, da quando siamo alle elementari, ci parlano solo delle leggi razziali, della shoah, e dei nazifascisti? A me pare che anche dopo, anche oggi, nel mondo ci siano talmente tante stragi, stermini e morti di cui varrebbe la pena, a scuola, di parlare”.
Detto, e fatto.
“Jim, lascia che io ti abbracci”. La ‘povna era stata schietta. Perché la sua intenzione, per il 27 gennaio di quest’anno, era proprio quella di declinare le riflessioni (di qui l’hashtag brutale di cui al titolo) sul tema della attualizzazione della memoria all’oggi e della libertà personale.
Così ha fatto per quanto riguarda le iniziative di istituto (che Esagono e DaddyLongLegs le hanno delegato in toto, sulla fiducia), dove ha proposto all’attenzione collettiva questo passo (dal sito di Patria indipendente, che varrebbe la pena di frequentare e di conoscere).
Così ha fatto (appunto) con le Giovani Marmotte, alle quali ha parlato (dopo una brevissima lettura dai Sommersi e i salvati, a proposito della zona grigia, “che ci riguarda tutti”) di Argentina, Cile e desaparecidos (anche in previsione della prossima lettura di Kamchatka).
Così ha fatto coi Merry Men (per i quali – da che la sanno vecchia – questi modi di ragionare, per fortuna, sono sostanzialmente ovvi), con cui ha discusso che cosa avrebbe fatto con i piccoli (ricavando un bell’esempio di educazione tra pari).
Così non ha fatto, invece, per gli Extraterrestri. Perché la prima è la prima, e i rituali vanno celebrati al modo giusto. Con loro però la ‘povna si è mossa per tempo, e parlano di guerra, memoria, stermini e campi di concentramento da più di una settimana. Inoltre stanno guardando questo (e, se qualcuno non lo ha mai visto, la ‘povna ne consiglia la visione integrale, vivamente). Oggi, però, perché anche loro avessero la loro dose di shock (e di #siamotuttinazisti), la ‘povna, dopo aver commentato anche con loro il brano di istituto (che aveva già letto l’Ingegnera Tosta), ha esibito un racconto: brevissimo, disorientante, apparentemente eccentrico. In realtà (chi ama la science fiction lo sa), è solo un piccolo classico. Gli alieni, però non lo conoscevano, e sono rimasti a bocca aperta. A tutti loro, la ‘povna, al termine della lettura, ha posto una domanda:
“Perché lo leggiamo proprio oggi? Chi ci trova un senso?”.
Le risposte sono state variegate, interessanti, e concentrate sul tema come di più la ‘povna non poteva sperare, obiettivamente. E, poiché si è sempre un po’ insegnanti, non solo tra i banchi, la ‘povna, per il Giorno della Memoria 2015 ripropone il racconto per chi ha voglia di cimentarsi qua su Slumberland, domanda inclusa.

Fredric Brown
Sentinella
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa.
Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento una agonia di fatica.
Ma dopo decine di migliaia d’anni quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.
Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica.
E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano d’infiltrarsi e ogni avamposto era vitale.
Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.
E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.
Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame.


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