Parlo con me.
Parlo per me.
Io ci ricasco sempre.
Merda.
Allontano con la mano destra il cellulare che squilla, cade a terra e me ne fotto.
Alzo il volume dello stereo, voglio far tremare questo cazzo di palazzo tutto bello con le piante sui balconi.
Voglio sentire forte.
Voglio mescolarmi alle vibrazioni e perdermi nell'eco che va ad infilarsi in ogni angolo di mondo in questa umida sera di fine settembre.
Voglio svegliare tutti.
Voglio, voglio, voglio.
Voglio troppo e poi mi scoccio.
Tocco il muro e poi casco.
Cado a terra e mi rotolo nel fango.
Mentre rotolo m'accorgo di volere il fango, di godere nel fango, d'essere fango.
Merda.
Quante parolacce, tante parolacce.
Sono in trappola, certe parole dovrebbero sottolineare un certo stato.
Che stato?
Passo, questa non la so.
Che tu sia benedetto.
Cercare caffè in mezzo il mare, cercare il profumo dentro al puzzo, cercare un chiodo in un fosso.
Cerco e poi m'incazzo se non trovo ciò che cercavo.
Ancora non mi spiego come sia successo,
non è questo un processo,
è giusto per parlare,
senti il mare,
è dentro questa conchiglia,
ascolta.
Io sento dolore.
Tirami dietro una panchina,
poi portami in una qualsiasi cantina.
Vorrei aver sognato tutto.
Spero che domani sia nuovamente primavera per rinascere con un fiore e per morire con la neve.
Ci sono ricascato.
Merda.