28 anni e….sentirli!

Da Pin@ @LaCorteseIrr

Pubblicato il 17 Dicembre 2013 su Inchiostro Bianco 

buon compleanno

Oggi 17 dicembre 2013 è il mio ventottesimo compleanno.  Solitamente i grandi festeggiamenti si organizzano per i trenta, o si preparano succulenti banchetti e festini per chi entra nei famigerati “anta” o ancora per il traguardo dei 50. Io invece voglio celebrare i miei 28 anni seppur privi di qualunque suffisso o desinenza di spicco. I motivi che mi spingono a riflettere, più di quanto già non faccia nella vita di tutti i giorni, sono molteplici.  Credo che 28 anni sia un’età proprio brutta: sei ancora nella ventina, ma sei troppo grande per definirti ventenne e troppo piccolo per sentirti trentenne.28 anni è una sorta di età della confusione. Sono grande o sono piccola? Sentendo mia madre che ogni tanto mi urla contro “All’età tua avevo già te e tuo fratello” mi dovrei sentire una donna grande e matura, ma poi dall’altro lato spunta la mia cara nonnina che allungandomi 20 euro mi dice “Con questi soldi ti compri le caramelle” e ritorno ad aver 6 anni. Le caramelle non le compro, ma mi piace quest’ultimo trattamento.

Questo è il mio primo compleanno da non-studentessa che festeggio. Sì, sono andata fuori corso, per quanti se lo stanno chiedendo, ringrazio per questo la cara Gelmini e la sua riforma che ha dato vita al fantomatico “ordinamento lumaca“, poi per fortuna debellato. Spesso mi ripeto che sono nata in un periodo sbagliato: la riforma Gelmini, la crisi, la mafia, il non poter uscire vestita con abiti vittoriani, la troppa tecnologia, Gigi D’Alessio ecc… ma poi ci ripenso e mi ritengo fortunata. Immagino se fossi nata nel medioevo, il mio essere una mancina dagli occhi cangianti non mi avrebbe sicuramente preservata dal fuoco, regalandomi senza alcun dubbio un posto d’onore fra le fiammeggianti pire erte per sconfiggere il demonio.  Però ora c’è la crisi, siamo in una società che “amo” definire fortemente nichilista. Io davvero sto iniziando ad odiare quest’era tecnologica fatta di Whatsapp, di social network, di troppi rumori e di tanti falsi sentimenti. Si, sempre per rispondere al tipo\a noioso\a che puntandomi il dito contro dirà “Ma tu la usi la tecnologia! Sei un’incoerente!”, c’ho (licenza poetica) la mamma apprensiva, ok?
Ma andiamo avanti …  In 28 anni ho avuto modo di conoscere tante persone e, come Sciascia, anche io voglio dividere l’umanità – un’umanità composta da chi ho avuto il piacere/dispiacere di incontrare –in macro-categorie:

  • Gli Indispensabili: ovvero gli amici di nuova e vecchia data dei quali davvero non posso fare a meno. Quelle persone che nonostante la distanza e il tempo sono sempre presenti, che sanno regalarmi un sorriso e sanno capire il mio stato d’animo guardandomi negli occhi. Quelle persone che so non mi abbandoneranno mai;
  • I Necessari: cioè quelle persone che nel bene o nel male mi hanno lasciato qualcosa e che sono stati indispensabili per la mia crescita come persona. A volte sono persone con le quali non parlo più e con cui, se incontro per strada, preferisco non incrociare lo sguardo a costo di far finta di parlare del tempo con una pianta;
  • Le Zanzare: definisco così questa categoria di persone perché credo di essere una di quei pochi eletti sulla faccia della terra che non viene morsa da questi fastidiosi insetti(probabilmente ho il sangue acido, a me hanno sempre e solo rotto le p@##& con il loro zzzzz notturno). Le zanzare sono quindi quelle persone inutili, le quali provocano solo un leggero fastidio nella tua vita causato per lo più da una perdita di tempo (sfido chiunque a trovare una zanzara in 10 secondi senza occhiali, con poche diottrie a disposizione e assonnati). Le zanzare non ti lasciano nulla, sono delle presenze alle quali hai donato il tuo tempo e loro hanno ben pensato di ricambiare il favore facendotelo perdere completamente;

Una buona parte degli Indispensabili li riconosci proprio il giorno del tuo compleanno, sono quelli che come scocca la mezzanotte hanno già il messaggio di auguri pronto da almeno 10 minuti. Loro non ti scrivono su Facebook, loro ti scrivono un sms che ti ricordi come la vecchiaia stia arrivando inesorabilmente, cercando di farti sentire il più vecchia possibile. Loro sono quelli che invadono ogni tuo spazio virtuale con i loro messaggi. Sono quelli che quando ti chiamano per farti gli auguri, sai che devi allontanarti se c’è gente vicino te perché esordiranno intonando una stonata canzoncina di Buon Compleanno al posto del solito “Pronto”. Sono quelli dei quali davvero non puoi fare a meno.

Anche se non tutti gli Indispensabili sono così, esistono quelli un po’ più vagabondi e calmi.  Ovviamente per ogni macro-categoria sopracitata ci stanno le relative micro-categorie. Ma non vi annoierò ulteriormente con la descrizione di ognuna, vi faccio presente solo una sottocategoria delle Zanzare rappresentata dalle Pustole, ovvero quelle persone che quasi vedi come repellenti e che a differenza delle Zanzare ti causano fastidio, l’udire la loro voce ti comporta convulsioni di vario genere. Insomma, gente che simpatica non ti sta ma sei sicuro di non esserlo neanche a loro.

In questi 28 anni di vita ho avuto l’occasione di conoscere gli Indispensabili, ho avuto a che fare con i Necessari ed ho purtroppo perso tempo con le Zanzare. E per ogni categoria descritta potrei fare nome e cognome di almeno 5 persone.

Ma parliamo di cose serie ora.
Quando siamo piccoli, spesso, durante una lite con i genitori o magari fantasticando dopo aver sentito il racconto della vita di una persona ci diciamo: “Io da grande farò l’astronauta, l’ingegnere, guiderò camion, sarò una ballerina della scala… Andrò a vivere in America!”.
Io da piccola voleva fare la scienziata – quante volte mi sono immaginata con una provetta in mano! –, ma poi ho deviato, ho scelto una strada diversa e sono diventata ingegnera (attualmente, ringraziando la fantastica situazione politica italiana, disoccupata).

Ed è proprio qui che nasce una mia prima riflessione seria: io, già qualche anno fa, pensavo al dopo laurea in modo diverso.
Nonostante la crisi che sta investendo l’Italia si senta da anni, io credevo di trovare lo stesso un lavoro che mi soddisfacesse e che mi facesse mettere in atto le conoscenze acquisite durante il mio percorso di studi, ma purtroppo così non è stato.
A 28 anni, quasi mi ritrovo a dire ancora “Io da grande farò l’ingegnera”. Ogni giorno consulto le offerte di lavoro, invio CV e magari rispondo anche ad annunci che non mi interessano per niente – come si suol dire “l’importante è iniziare” – anche se quest’ultima opzione mi puzza un po’.
È divertente, sarcasticamente parlando, leggere gli annunci: 2 su 3 cercano gente neolaureata con (se ti va bene) 3 anni di esperienza nel settore, conoscenza perfetta dell’inglese, periodo di studi all’estero.

Cercano gente con massimo 29 anni – ma in realtà vogliono qualcuno che dal punto di vista lavorativo abbia le esperienze di un 40enne, per poi magari farti inserire dei dati dentro un database –, ma loro lo chiamano in modo figo, piazzando un business da qualche parte, un manager dall’altra, e la proposta di lavoro diventa così “Un’offerta che non potrai rifiutare”.
In quasi 10 mesi ho inviato migliaia di CV. Mi hanno risposto in due: una grande azienda italiana mi offriva una cifra davvero ridicola, che non

mi sarebbe bastata neanche per coprire le spese di un eventuale affitto per un posto di 6 mesi, e un’altra azienda invece ricercava laureati in materie scientifiche per poi scoprire che la posizione da ricoprire era quella dell’animatore.
Che l’Italia sia un paese in crisi è purtroppo un dato di fatto, ma secondo me tante e tante aziende ci speculano sopra, offrendo stage e posti di lavoro a condizioni davvero pietose, e pretendendo comunque un determinato standard con turni di lavoro massacranti.
L’Italia sta diventando un popolo di laureati che si fanno mantenere dai genitori. Laureati super qualificati ovviamente, e a tale proposito mi viene in mente una barzelletta che ho letto in questi giorni:

“Una società italiana ed una giapponese decisero di sfidarsi annualmente in una gara di canoa, con equipaggio di otto uomini. Entrambe le squadre si allenarono e quando arrivò il giorno della gara ciascuna squadra era al meglio della forma, ma i giapponesi vinsero con un vantaggio di oltre un chilometro. Dopo la sconfitta il morale della squadra italiana era a terra. Il top management decise che si sarebbe dovuto vincere l’anno successivo e mise in piedi un gruppo di progetto per investigare il problema. Il gruppo di progetto scoprì dopo molte analisi che i giapponesi avevano sette uomini ai remi e uno che comandava, mentre la squadra italiana aveva un uomo che remava e sette che comandavano. In questa situazione di crisi il management dette una chiara prova di capacità gestionale: ingaggiò immediatamente una società di consulenza per investigare la struttura della squadra italiana. Dopo molti mesi di duro lavoro, gli esperti giunsero alla conclusione che nella squadra c’erano troppe persone a comandare e troppe poche a remare. Con il supporto del rapporto degli esperti fu deciso di cambiare immediatamente la struttura della squadra. Ora ci sarebbero stati quattro comandanti, due supervisori dei comandanti, un capo dei supervisori e uno ai remi. Inoltre si introdusse una serie di punti per motivare il rematore: “Dobbiamo ampliare il suo ambito lavorativo e dargli più responsabilità”. L’anno dopo i giapponesi vinsero con un vantaggio di due chilometri. La società italiana licenziò immediatamente il rematore a causa degli scarsi risultati ottenuti sul lavoro, ma nonostante ciò pagò un bonus al gruppo di comando come ricompensa per il grande impegno che la squadra aveva dimostrato. La società di consulenza preparò una nuova analisi, dove si dimostrò che era stata scelta la giusta tattica, che anche la motivazione era buona, ma che il materiale usato doveva essere migliorato. Al momento la società italiana è impegnata a progettare una nuova canoa…” 

Ogni mansione, soprattutto quando si decide di intraprendere la libera professione e anche quando si tratta della mansione più semplice e banale, necessita, per essere svolta, del relativo esperto, con tanto di certificato (e ovviamente questo mica è gratuito):  Versamento di 2000€ (quando va bene) per il master\certificato bla bla bla, 50€ di versamento per i costi sostenuti per la selezione, 15€ per gli eventuali caffè consumati dalla commissione esaminatrice, qualche marca da bollo giusto per abbellire il tutto, 450 ore di corsi (obbligatori ovviamente) che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono da seguire in un paese diverso dal tuo con tutte le varie spese a corredo e… Tadaaaaan! Finalmente ti possono assumere a tempo determinato a 1500 km da casa per 450€ al mese.
Qui si sta cercando davvero di calpestare la dignità di noi giovani e arrivare a 28 anni, trovare un lavoro sperando che la nonna ti passi sottobanco “I soldi per le caramelle” per non farti mettere ancora di più il tuo stato d’animo sotto i piedi… non è bello.

Forse fra qualche mese, esasperata da tutto, mi ritroverò a fare i ragionamenti di Tyler Durden dopo aver costituito il mio club:

“La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene.
Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo
 portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!”

 Alla fine nessuno mi ha messo in testa che sarei diventata una grande rock star, però mi hanno fatto credere che studiando e facendo tanti sacrifici sarei diventata ingegnera e non avrei dovuto elemosinare uno stipendio a nessuno. Ma non è così. E lentamente lo sto imparando.

Fight Club

In tutto questo non manca mai, ovviamente, quello che ne sa più di te. Ovvero il tizio che elargisce consigli su come gestire la tua vita dimenticandosi di prendere in mano le redini della sua. Solitamente il discorso è il seguente: “L’Italia fa schifo, non c’è lavoro, dovresti andare all’estero e iniziare lì una nuova vita. squilla il cellulare, è la mamma che gli chiede a che ora vuole trovare pronto e se ha indossato la maglia di lana che fa freddo Cosa ci stai a fare qui? Devi essere, indipendente. Bisogna fare sacrifici. Scusa scappo che devo andare a giocare a calcetto.

Sicuramente qualche anno fa pensavo a questi 28 anni, almeno per quanto riguarda l’ambito lavorativo, in modo completamente diverso. Mi vedevo in un posto diverso e a fare qualcosa di diverso. Almeno so che non è colpa mia e un po’ mi risollevo.  Io l’Italia la amo e la odio: 

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Ho un rapporto un po’ conflittuale con il mio Paese a causa di quello che è diventato, di tutto il marcio che giorno dopo giorno spunta fuori, e soprattutto perché spesso mi trovo a valutare l’idea di andarmene all’estero. Ma ne vale davvero la pena di espatriare? Andare all’estero? Scappare dal proprio paesino? 

“Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx.”

In questi 28 anni ho collezionato tanti sogni, ambizioni e desideri. Spero un giorno di riuscire a realizzarne almeno una parte. La voglia e la volontà ci sono.  Voglio concludere questo mio immenso fiume di pensieri – che in realtà per questioni di spazio e di tempo è stato ridotto considerevolmente – con una citazione di una poetessa a me tanto cara, la bellissima Sylvia Plath, in quanto rappresenta un po’ il mio essere in questo periodo di incertezza:

“Mi sentivo ed ero un libro con righe chiare di parole sensibili e taglienti, nessuno sapeva intravederne le fragilità, si pungevano e andavano via. Sono sempre stata e mi son sempre sentita come un libro aperto, circondato da analfabeti.”

È una frase forse un po’ pesante, ma mi rappresenta per intero e credo che non abbia bisogno di ulteriori spiegazioni. Parla da sé.

Spesso mi reputo una persona un pochino particolare, forse un po’ fuori dal comune. Ma in fondo chi non pensa di esserlo? In quanti non ci sentiamo capiti dal resto del mondo?
Questo 2013 è stato un anno “diversamente facile“, per fortuna ho trovato forza, conforto e mezzo di sfogo in quelli che sono i miei hobby: la scrittura, la lettura, l’arte, la musica, la filosofia, il cinema, il karate. Sono scontenta di tante cose, in primis della situazione italiana che non mi permette di vivere come vorrei. Ma sono anche sicura che qualcosa migliorerà in fondo “Non può piovere per sempre”.
E poi Paolo Fox ha detto che il 2014 è l’anno del Sagittario, e io voglio credergli. :) Perciò… tanti auguri a me!



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