Questo è lo screenshot della pagina Facebook della Casa Bianca, fissato nel pomeriggio del 26 giugno 2015. Pochi minuti prima la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva emesso una sentenza secondo cui il matrimonio è un diritto garantito dalla Costituzione anche alle coppie omosessuali. Questo significa che nessuno dei 50 Stati potrà più promulgare leggi che vietino a due persone dello stesso sesso di sposarsi, e che tutti gli Stati saranno tenuti a riconoscere i matrimoni omosessuali contratti in qualsiasi parte del Paese.
E’ passato mezzo secolo dal Civil Rights Act, che demolì finalmente, de lege se non de facto, la discriminazione verso i neri e il regime di segregazione razziale; che fra l’altro portava a vietare espressamente i matrimoni misti in 30 Stati su 50. Cade ora uno degli ultimi ostacoli all’effettiva e totale eguaglianza fra i cittadini americani, nel rispetto di quel tutti gli uomini sono stati creati uguali scritto nelle prime righe della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776.
Molte cose sono dunque cambiate dai tempi dei cosiddetti “Moti di Stonewall”.
Negli anni ’60 lo Stonewall Inn era un malfamato locale notturno sito al 53 di Christopher Street, nel Greenwich Village di Manhattan, in cui si esibivano alcune drag queen. Malfamato perché era gestito da un uomo della mafia, che foraggiava regolarmente la polizia affinché chiudesse un occhio sull’attività illegale che vi si svolgeva. Gioco d’azzardo? Spaccio di droga? No, per una ragione che oggi ci appare totalmente surreale: la somministrazione di bevande alcoliche agli omosessuali (!) Esisteva infatti all’epoca a New York un regolamento comunale che lo vietava, al fine di evitare proprio ciò che accadeva allo Stonewall: era diventato un luogo di aggregazione per giovani omosessuali squattrinati, spesso buttati fuori di casa, che non potevano certo permettersi certi locali discreti e raffinati del centro. Erano solo due stanze poco illuminate, senza acqua corrente, dove si servivano liquori annacquati e troppo cari. Come ricorda Jerry Hoose, oggi gestore del locale e membro fondatore del Gay Liberation Front, “il bar era un vero cesso, ma era un rifugio; era un rifugio temporaneo dalla strada.”
Alla fine degli anni ’60 l’American Psychiatric Association classificava ancora l’omosessualità come un disturbo mentale, e gli uomini gay e le donne lesbiche erano oggetto di universale condanna morale da parte delle religioni tradizionali. L’atto sessuale omosessuale, anche in case private, era punibile con forti ammende e carcere in tutti gli Stati Uniti, tranne l’Illinois. Restavano dunque impuniti, perché nessuno si sognava di denunciarli, atti di bullismo, aggressioni, pestaggi e addirittura omicidi.
Con il crescere del movimento anti-autoritario studentesco del 1967-68 e della protesta contro la guerra del Vietnam, i tempi erano maturi. Nelle prime ore del mattino del 28 giugno 1969 la polizia, nonostante le bustarelle, fece allo Stonewall Inn una retata di troppo. Questa volta l’intera strada si rivoltò, esplosero proteste e manifestazioni violente che durarono per i successivi sei giorni al grido di “Gay Power”, mutuato direttamente dal Black Power delle Pantere Nere.
Dopo i Moti di Stonewall, come sono oggi chiamati, le frammentate associazioni “omofile” sparse per il Paese accantonarono i timori e gli interminabili dibattiti, si compattarono e passarono all’azione, creando un vero movimento politico, forte e articolato, che ha combattuto molte battaglie ed ora ne ha vinta una davvero importante.
Quel 28 giugno segnò dunque una svolta fondamentale nel moderno movimento per i diritti civili gay, prima negli Stati Uniti, poi nel resto del mondo. E la data del 28 giugno è stata da allora scelta dal movimento LGBT come data della Giornata Mondiale dell’orgoglio di sé, che ha il suo culmine ogni anno nelle celebri sfilate del Gay Pride.
M.P.