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29 luglio 2011

Creato il 04 giugno 2012 da Pesa
Dieci mesi e due giorni: questo è il tempo che ho passato lontano da un palco; lontano dal sudore, causato dai riflettori, che, cadendo dalla fronte, brucia sugli occhi e non hai modo per levarlo se non muovendo la testa; lontano dal sound-check improvvisato e pessimo, reso decente da un fonico competente; lontano dal backstage, dove si consumano ignoranza, scemenza, complimenti, scherzi, scoregge e birra; lontano dall'arrivare presto nel locale, quando ancora c'è luce, e vederlo sotto un'ottica totalmente diversa rispetto a quando vai a vedere altri gruppi; lontano dalla cena a base di panini con gli altri gruppi e alle cazzate che quasi ci fanno sentire tutti fratelli; lontano dall'adrenalina nell'aspettare l'applauso, il fischio o  sentire la gente che canta a squarciagola i cori delle tue canzoni; lontano dalle consumazioni gratuite, che ti fanno sentire quasi importante nell'offrire una birra aggratis agli amici. 
E così, prima di salire sul palco, stavo dietro, nel backstage, e mi guardavo allo specchio. E pensavo che quella sera avrei potuto studiare, leggere un libro, stare a casa e riposarmi bin modo da preparare al meglio gli esami perché la vita, al giorno d'oggi, è incerta e insicura, non offre certezze e un pezzo di carta in più fa sempre comodo. 
E invece, no. 
Io volevo, e dovevo, esattamente stare lì, con il basso in mano - novità assoluta - e il microfono davanti alla bocca, a sparare scemenze, cantare (male) le canzoni e godermi quella serata. Perché emozioni di questo tipo sono irripetibili e uniche, anche se fai musica grezza e cruda, quella che ascoltano i ragazzini di 13 anni durante le prime cotte e i primi amori, quella musica che urla "fanculo il sistema" ma allo stesso momento parla di te e delle stronzate della tua vita. 
E mi chiedo, quando sarà la prossima volta? Non lo so, ma spero veramente molto presto. 

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