di Elena Venditti
Il caldo soffocante era un problema. Dal deserto arrivava il caldo e il sole irradiava le città per oltre metà della giornata. Come facevano gli arabi dell’anno mille a sopportare in casa un clima così torrido e una temperatura che arrivava facilmente a 50°C?
Utilizzavano quello che la natura offriva piegandola gentilmente alle loro necessità. Ingegneri e architetti sapevano come rendere le abitazioni fresche d’estate e tiepide la notte quando si faceva sentire l’escursione termica.
Grate di legno alle finestre, cunicoli, feritoie, torri, acqua e camini d’aerazione, solo questo e nient’altro.
A Palermo, nel 1165, Guglielmo II ordinò ad un architetto arabo la costruzione (poco fuori della città) di un edificio da abitare nei mesi estivi. La location scelta, diremmo ora, era un immenso parco. La Zisa, così fu chiamata, fu realizzata seguendo tutti i dettami dell’edilizia araba: il malqaf, il Qà’a, il Bad-ghir, il moucharabieh. Nomi complicati per soluzioni semplicissime che potrebbero essere adottate anche nell’edilizia contemporanea.
Il malqaf è una torre di captazione dell’aria posta sulla sommità delle stanze, realizzata con un’apertura rivolta verso i venti dominanti. Funziona anche in assenza di vento: durante la notte la massa che lo costituisce si raffredda. Grazie ad un meccanismo di irraggiamento e convezione asporta il calore dall’aria posta al suo interno. Questa, mutando di densità, scende nei locali dell’edificio. Durante il giorno, quando la temperatura esterna aumenta, la massa muraria mantiene bassa la temperatura interna della torre che così può continuare a raffreddare l’aria negli ambienti sottostanti.
Il Qà’a è un semplice sistema di estrazione dell’aria: apertura posta sottovento che permette all’aria più calda di fuoriuscire, grazie ad un effetto depressivo attivato dai flussi di corrente.
Il Bad-ghir, invece, somiglia alle maniche a vento delle navi. Orientate controvento, sono prese d’aria unidirezionali. Il sistema è basato sul principio della ventilazione termica o “dei moti convettivi”, ed è costituito da una canna in muratura leggera a sua volta suddivisa nel senso dell’altezza in quattro o più settori, quadrati o triangolari. Qualunque sia l’esposizione dell’edificio, la stagione e l’ora, almeno due settori contigui saranno in ombra e all’interno della canna si determinerà un doppio flusso parallelo, tale da estrarre aria calda e immettere aria fresca. Durante il giorno accumula calore che restituisce di notte all’aria che tende a salire, innescando così un ciclo di ventilazione inverso. Si otterrà un abbassamento di temperatura tra i 6 e i 10°C .
Infine, il moucharabieh. È un dispositivo di ventilazione naturale forzata molto diffuso nella architettura araba tradizionale. Si tratta di un traliccio in legno intagliato che offre protezione dal sole caldo e aumenta la circolazione d’aria grazie alla riduzione di superficie che accelera la velocità delle correnti d’aria.
Fonte: Terna
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