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3 Casi, 3 Problemi, 3 Drammi sociali … saggezza vorrebbe nessuna soluzione!

Creato il 01 ottobre 2012 da Postscriptum

3 Casi, 3 Problemi, 3 Drammi sociali … saggezza vorrebbe nessuna soluzione!

Osservando l’ambiente che mi circonda mi sto sempre più rendendo conto che siamo un popolo di affabulatori, dallo slogan facile ma dal realismo alquanto scarso.

Tralasciamo la deriva dialettica che ha colto la politica negli ultimi 20 anni a colpi di promesse senza fatti e concentriamoci sulla gente comune.

Posto che siamo nel pieno di una gravissima crisi e che nessuno, neanche i tecnici più lungimiranti, ha esattamente chiaro quando e come essa finirà, tutti all’improvviso ci siamo scoperti economisti e sopratutto imprenditori.

In questo momento ci troviamo di fronte a 3 casi ad alta esposizione mediatica, il caso dell’Ilva, il caso del’Alcoa e infine, il più eclatante, il caso Fiat. Sono tre casi completamente diversi che però nella situazione economica attuale pongono domande sui cambiamenti socioeconomici in atto, sugli errori politico-economici del passato, sul come pensiamo l’Italia del futuro e sul come potremmo fare a realizzarla stanti i vincoli esterni ed interni che abbiamo.

Riassumo molto brevemente i 3 casi:

Ilva – Taranto; Il polo siderurgico di Taranto venne costruito negli anni ’60 dallo stato con soldi pubblici in un posto in cui non c’era praticamente nulla (calssica cattedrale nel deserto, come tante raffinerie sparse sul territorio siciliano) e ha incrementato notevolmente il tenore di vita della zona dando lavoro e sostegno a tantissime famiglie. Sfortunatamente come effetto collaterale ha causato un inquinamento enorme con le conseguenze che questo porta. Nei primi anni ’90 col collasso dello Stato Imprenditore oberato dai debiti e dal malaffare si dovette mettere mano alla riorganizzazione del settore siderurgico e , all’interno di un piano di respiro europeo, l’ilva venne venduta ai Riva. Da allora il polo siderurgico si è mantenuto ed è uno dei pochi siti rimasti produttivi in Italia, sono stati fatti anche dei passi avanti sulla sicurezza e sull’abbattimento dell’inquinamento ma niente di decisivo. Ora dopo cinquant’anni la magistratura si sveglia e scopre che lo stabilimento inquina e imprime un’accellerazione incredibile cercando di obbligare alla chiusura del polo e arrestando la proprietà.

Alcoa – Portovesme; Il sistema minerario sardo ebbe un grande sviluppo fino alla seconda guerra mondiale, dopo di essa per una serie di motivi storico-tecnici-economici non risultò più redditizio e pertanto tutte le concessionarie private abbandonarono i siti. A quel punto compare negli anni’60 lo stato, che come per l’Ilva, coi soldi pubblici ha deciso di creare un grosso polo minerario e della trasformazione investendo in aziende, miniere e un porto. Anche per la zona di Portovesme il collasso dello Stato Imprenditore ha portato alle privatizzazioni e uno dei compratori è stata una grossa multinazionale dell’Alluminio, l’Alcoa. Ora dopo 16 anni vista la crisi, il calo del prezzo dell’alluminio e gli eccessivi costi di produzione dello stabilimento (in perdita da anni) l’Alcoa ha deciso di chiuderlo.

Fiat – “Italia”; La Fiat esiste dal 1899 e nel tempo è diventato il più grande gruppo automobilistico italiano annettendo in diverse epoche tutti i concorrenti nazionali più importanti (Lancia e Alfa Romeo). Unico Gruppo automobilistico italiano è stato pesantemente sovvenzionato durante gli ultimi sessant’anni dallo stato il quale ha concesso finanziamenti per costruire stabilimenti in luoghi sparsi sul territorio con lo scopo di creare aree di sviluppo in zone depresse. L’ultimo intervento diretto dello stato fu il finanziamento alla costruzione dello stabilimento di Melfi, da allora grazie al collasso dello Stato Imprenditore non sono più usciti soldi pubblici verso la Fiat. A cavallo del nuovo millennio Fiat subì la sua crisi più grave e ci fu un primo piano di riorganizzazione che prevedeva una successiva vendita a General Motors. La decisione degli azionisti di non procedere con la cessione creò però una situazione per cui l’azienda continuava a pedere senza prospettive. Nel 2004 si è ad un fallimento “de facto”, la situazione è drammatica ma lo stato decide di non intervenire e solo grazie ad un prestito straordinario di alcune banche si riesce a salvare l’azienda che con un nuovo Managment è riuscita a rilanciarsi e sfruttando abilmente le opportunità delle crisi a conquistare anche il terzo costruttore automobilistico americano, la Chrysler. Attualmente a seguito del priano di rilancio ha chiuso lo stabilimento di Termini Imerese (cattedrale nel deserto voluta dallo Stato) e in conseguenza della pesante crisi del mercato italiano ed europeo ha rallentato pesantemente gli investimenti in Italia annunciando che se la situazione dovesse ulteriormente peggiorare potrebbe chiudere un altro stabilimento. >In questo momento tutti gli stabilimenti Fiat stanno utilizzando a rotazione la cassa integrazione in quanto la capacità produttiva supera di gran lunga la domanda.

Cos’anno in comune i 3 casi?

1- Lo stato ha buttato via miliardi per finto sviluppo in aree depresse che se tutto va bene torneranno depresse.

2- Nessun privato ha interesse ad investire senza una ragione valida in posti a caso a meno che non sia lo stato a finanziarlo e si ritirerà nel momento in cui lo stato smetterà di finanziarlo.

3- Lo Stato ha creato artificialmente posti di lavoro che alla lunga non possono essere mantenuti e quindi ha allocato male le sue risorse scaricandole su di noi.

4- Lo Stato ha involontariamente creato condizioni che in prospettiva potrebbero aver peggiorato la nostra vita.

Ora il Problema che io volevo sollevare è che la Gente, il Popolo come lo chiamano alcuni politici, questi messaggi non li ha recepiti e alcuni politici alla ricerca di facili consensi gli vanno dietro.

Sono tutti a chiedere l’intervento del Governo, ad attaccare le Aziende che intendono chiudere o gli imprenditori che non danno garanzie. Nessuno si pone il problema se questa sia la via giusta- Pochissimi sembrano rendersi conto che mantenere in vita aziende che cumulano perdite su perdite o che fanno morire la gente per inquinamento forse non è la soluzione ma è uno dei problemi di cui l’Italia soffre. Comprendo la principale obbiezione, c’è la crisi e chiudere aziende vuol dire mandare a casa lavoratori, ma non è un’obbiezione seria. Un’azienda in difficoltà in tempo di crisi non può essere considerata un surrogato dello stato sociale, le aziende esistono per creare ricchezza attraverso la realizzazione di prodotti o la trasformazione di materiali e solo indirettamente ed in base al successo dell’attività per fornire posti di lavoro. L’azienda non è una cassa previdenziale. Gli imprenditori rischiano i propri soldi e se li spendono per mantenere in vita aziende inproduttive non aiutano la società ma rischiano solo di aggiungersi anche loro alla lista dei disoccupati senza soldi.

Accecati dalla retorica dei diritti non ci rendiamo conto del danno che facciamo ogni qual volta chiediamo al Governo di intervenire o di fare Politica Industriale. Se siamo nel letame è proprio colpa di quelle cose. Ma, e qui si vede un altro paradosso italico, siamo tutti a parlar male dei politici e però siamo tutti contrari alle aziende private senza renderci conto che la corruzione politica si annida in primis nelle aziende pubbliche. Da una parte moltissimi di noi conoscono piccoli imprenditori che lavorano come matti e fanno di tutto per aiutare i propri dipendenti , tutti sappiamo che i telefoni costano meno e sono meglio oggi di quando c’era la Sip, tutti ci rendiamo conto che la Posta privata funziona molto meglio di quando era pubblica, tutti ci accorgiamo che da quando Alitalia è privata non ci sono scioperi e arriva quasi in orario, dall’altra non riusciamo ad estirpare dalla mente lo stereotipo dell’imprenditore cattivo il cui unico impulso è quello di maltrattare e licenziare possibilmente depredando il povero consumatore. Non si può negare che la grande impresa in regime di monopolio sia un danno o che sempre in regime di monopolio non ricatti lavoratori e consumatori, ma normalmente non dove c’è competizione non è così ed è ora che ci svegliamo e che chiediamo alo stato di favorire le imprese buone vigilando, riducendo la burocrazia e abbattendo il debito pubblico così da ridurre le tasse.

Oltre a ciò c’è un certo strabismo tra di noi favorito dai sindacati e dai mezzi di informazione, centinaia di piccole aziende chiudono e nessuno dice nulla, appena una grossa va in difficoltà tutti a difendere i lavoratori. La somma dei lavoratori che hanno perso il posto nelle piccole aziende è nettamente superiore a quello che si perderebbe se chiudessero le poche aziende di grandi dimensioni in difficoltà, ma in quel caso non dice nulla nessuno. Per un po’ la retorica dei suicidi degli imprenditori sembrava aver fatto breccia ma è già passato tutto (parlo di retorica perchè pare che le statistiche non fossero dissimili dagli anni precedenti) e tutti a dargli addosso al cattivo che licenzia nelle grandi aziende.


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