Di inquinamento geochimico delle falde acquifere se ne è parlato anche alle Iene.
In un servizio andato in onda lo scorso 26 marzo: "Acqua: quando non sai cosa bevi" riflettori puntati sull'acqua tossica somministrata a oltre 700.000 abruzzesi.
In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2015, tenutasi lo scorso 22 marzo, l’ENEA ha tracciato un bilancio in chiaroscuro sull’acqua che arriva nelle case degli italiani.
La buona notizia è che si tratta di una risorsa in prevalenza di ottima qualità perché proveniente per lo più da fonti sotterranee. La notizia meno buona è che restano criticità legate alle condizioni delle reti di distribuzionedistribuzione
Attività di trasporto (di elettricità o di gas) agli utilizzatori finali attraverso le reti di distribuzione. e al rischio geochimico.
L’Italia vanta una situazione di assoluto privilegio rispetto a molti altri paesi per quel che riguarda la qualità dell’acqua che arriva dal rubinetto: infatti, circa il 70% dell’acqua potabile distribuita in rete proviene direttamente da sorgenti o falde sotterranee e solo il restante 30% è sottoposto a processi di depurazione.
Nonostante questo dato positivo e i progressi fatti nel rispettare i limiti europei per salute e ambiente, restano da sciogliere nodi come il gran numero di gestori, l’elevata dispersione della risorsa nelle reti di distribuzione e il rischio geochimico legato alla presenza di concentrazioni naturalmente elevate di elementi potenzialmente nocivi, quali arsenico e fluoro, in alcune zone d’Italia, come ad esempio a Bussi, un comune abruzzese dove oltre 700mila abitanti hanno bevuto per anni acqua tossica contenente sostanze cancerogene. Del caso Bussi si è parlato anche alle Iene, durante il servizio "Acqua: quando non sai cosa bevi" di Nadia Toffa.
“Anche l’Italia presenta alcune criticità legate al cosiddetto rischio geochimico - ha spiegato l’esperto ENEA Carlo Cremisini, responsabile dell’Unità Tecnica “Caratterizzazione, Prevenzione e Risanamento Ambientale” - vale a dire il rischio per la salute dell’uomo connesso a concentrazioni naturalmente elevate di elementi potenzialmente tossici nell’acqua destinata ad uso potabile”.
“In alcune aree nel Lazio, ad esempio, abbiamo riscontrato una concentrazione di arsenico e fluoro superiore ai limiti ammessi per l’acqua potabile nel 75% dei campioni - ha affermato Cremisini - Questa situazione meriterebbe un approfondimento, anche per studiare le possibili sinergie degli effetti tossici dei due elementi”.
Il riferimento è l’entrata in vigore, nel 2001, della direttiva UE che abbassava il limite per l’arsenico nelle acque potabili da 50 a 10 microgrammi per litro, facendo sì che in alcune aree d’Italia l’acqua di faldaacqua di falda
Acqua sotterranea, generalmente sovrastante strati di roccia impermeabile, che si raccoglie grazie alle acque atmosferiche assorbite da suoli particolarmente porosi e permeabili. L'acqua di falda, insieme alle acque dolci superficiali, è normalmente impiegata dall'uomo per scopi alimenatri e sanitari. non avesse più i requisiti di potabilità. In quell'occasione si è dovuto correre ai ripari in emergenza e a tutt’oggi si registrano difficoltà nella soluzione definitiva del problema.
Per quanto riguarda la concentrazione di uraniouranio
Elemento metallico radioattivo che si trova sottoforma di ossidi o sali nelle rocce, nel suolo, nell'aria e nell'acqua. L'uranio, così come si trova in natura, è costituito da tre isotopi: l'uranio 238 (per il 99.9 %), l'uranio 235 (l'uranio fissile impiegato come combustibile nelle centrali nucleari) e l'uranio 234, in piccolissime tracce. nell’acqua potabile, non esiste ancora un valore limite fissato dalla direttiva europea. Studi effettuati nell’ultimo decennio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) e dall’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) hanno comunque suggerito livelli di sicurezza per la salute umana compresi fra i 10 ed i 30 microgrammi per litro.
Resta il fatto che, complessivamente, la qualità dell’acqua ‘nazionale’ è eccellente. Tuttavia, altrettanto non si può affermare del suo sistema di gestione, che non riesce a contenere, tra l’altro, i cronici problemi di dispersione della risorsa idrica.
“La rete di distribuzione in Italia – conclude Cremisini – è estremamente frammentata con oltre 3mila enti gestori di servizi idrici, dei quali circa l’80% sono gestori in economia e sistemi con bacini d’utenza inferiori in molti casi ai 5mila abitanti. Oggi questa situazione merita una riflessione sull’opportunità di un’adeguata ristrutturazione che renda più agevoli gli interventi strutturali d’emergenza”.