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Non aggiungo molto, se non una nota: vedete come è difficile giudicare dalle apparenze, dalla presenza di un velo e/o di una barba. Lo dico per chi, e sono tanti, invece lo fa (qui, e sottolineo qui, intendendo l'Egitto, come pure a casa nostra). Ci sto prendendo gusto, e allora continuo.
Ho trascorso ore al sit-in dei Fratelli musulmani e ci sento meno di ieri a causa dei decibel sparati dal palco dove si susseguono oratori di ogni sorta. Uno in particolare mi trovo in dovere di segnalare: si tratta di Assem Abdel Maged (lo trovate su Google, magari partite da questa breve scheda della Reuters cliccabile QUI). Ebbene, dal palco ha detto alla folla che l'80 % di chi ha protestato e oggi ancora manifesta a Piazza Tahrir è composto da cristiani. Una frottola immensa. Dal palco in Nasr City (quartiere del Cairo dove si sono riuniti i sostenitori di Morsi) non ho sentito (ma non li ho ascoltati tutti) nessun discorso che proponesse un programma di governo magari corretto e rivisto alla luce degli eventi per andare avanti nel caso il Presidente tornasse o nella prospettiva di una riconciliazione nazionale. No, niente di tutto questo. Dal quel palco si sta incitando a una visione spezzata, frantumata e confessionale della società egiziana. È quanto denunciano anche coloro che manifestano in Piazza Tahrir. È un punto da tenere presente nelle riflessioni e nell'esercizio difficile di capire che cosa sta accadendo in queste ore. Ciò non significa che tutti quelli che ascoltano o che tutti quelli che chiedono il ritorno di Morsi, ritenendo la sua estromissione un atto ingiusto e non costituzionale, in pratica una sottrazione del loro primo voto democratico (questo va davvero capito come carburante della frustrazione), la pensino come l'oratore che ho citato. Ma questi discorsi fanno presa e fanno breccia.
A Piazza Tahrir sta concludendosi (si è praticamente conclusa) un'altra saldatura: quella fra il popolo della protesta e l'esercito. Non sono sicuro che sia una prospettiva allettante, ma è quanto succede.
Oggi ho imparato un'altra cosa: l'Egitto è ormai davvero spaccato in due. Sembra una battuta, ma la gente inizia a pensare in questi termini: liberale (da intendere nel senso di "tollerante", con le legittime colorature culturali del caso) o islamista?
Interessante. Pensare che fra la coalizione cosiddetta "liberale" (o comunque anti-Morsi e anti Fratelli Musulmani) ci sono i salafiti.
Come scrivevo ieri: raccolgo schegge di realtà e le sottopongo alla vostra riflessione. Vi invito alla prudenza: queste considerazioni valgono per il paese dal quale scrivo, non sono applicabili a altre realtà, a costo di commettere semplificazioni di cui non mi riterrei comunque responsabile.
L'Egitto è esposto a tutti i rischi e scenari possibili e immaginabili. Ma è il primo paese (grazie alla sua straordinaria storia anche recente, vedi prima parte del XX secolo, quando da noi - intendo la Svizzera - le donne facevano le schiave nelle fabbriche e non votavano) che ha scoperto le carte. Lo scontro - aldilà di tutte le sfaccettature - è quello fra due visioni della realtà e della vita. Una, nella quale la religione viene utilizzata come strumento di mobilitazione e di assoggettamento, l'altra nella quale la religione è un fatto privato vissuto pubblicamente e accettato nei suoi incatenamenti sociali, ma mai in grado di soffocare il ragionamento. Sia pure un ragionamento che spinge (ha spinto) molti egiziani a mettersi a braccetto con i militari. Rispettati, ora addirittura acclamati, ma nella consapevolezza sempre, credo, che essi militari restano.
Ecco, in conclusione: i Fratelli musulmani hanno scoperto la loro piazza a Nasr City; gli altri continuano a frequentare Piazza Tahrir come fosse un pezzo di mare nel quale tuffarsi per farsi passare reumatismi, raffreddori e tutto il resto. I primi parlano ormai, apertamente (perché messi alle corde dall'intervento dei militari in seguito alla mobilitazione della piazza, magari a volte anche pilotata, il mondo va sempre così, non raccontiamoci fiabe), di rivoluzione islamica. È, per loro, la prima, vera rivoluzione. Il popolo di Tahrir sta invece capendo che la cosiddetta "prima" rivoluzione (gennaio e febbraio 2011) non è stata che un antipasto. O forse nemmeno quello: diciamo un apparecchiamento.
Domani vado al funerale del sacerdote copto assassinato a Al-Arish, nel Sinai. Vi terrò al corrente e vi mostrerò il reportage video e fotografico.
Tutti i diritti riservati per le fotografie (c) 2013 / weast productions.
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